Pazzi, un autore che fa di ogni romanzo un vero poema

Pazzi, un autore che fa di ogni romanzo un vero poema

Da noi gli ambidestri non sono ammessi. O sei poeta o fai il narratore. Di solito, si dice, il poeta scrive il romanzo con la mano sinistra; il romanziere fa poesia coi piedi. Esempi: avete mai letto Partita di Antonio Porta? Appunto. E le poesie di Nico Orengo (non che i romanzi siano migliori) e quelle di Arbasino? Orrore. La maldestra antologia mondadoriana Poeti italiani del secondo Novecento (1996) strologò la dizione «Narratori poeti» (vi erano inscatolati la Morante, Volponi, Alberto Bevilacqua, Bassani, Ottieri e Orengo; avrebbero dovuto starci Testori, Bufalino, Landolfi, almeno), a recludere in ghetto i poeti da un lato e i narratori con fibrillazione lirica dall'altro.

Nel caso di Roberto Pazzi i ruoli vanno invertiti. Pazzi nasce poeta, nel 1973, con L'esperienza anteriore, benedetto da un riconoscimento critico di Vittorio Sereni. La poesia, in effetti, è il gesto perpetuo di Pazzi, che precede e pattuglia l'opera narrativa. Calma di vento, la raccolta pubblicata nel 1987 da Garzanti, coincide con il momento capitale di Pazzi: due anni prima esordisce alla narrativa con il meraviglioso Cercando l'imperatore (introdotto da un poeta, Giovanni Raboni), nel ring di pochi anni escono La principessa e il drago (1986) e Vangelo di Giuda (1989). A questo punto è segnata la rotta narrativa di Pazzi, per due volte finalista allo Strega, per due volte al Campiello, fino all'ultimo romanzo, Verso Sant'Elena (2019), che narra, per scudisciate oniriche, il viaggio di Napoleone lungo l'esilio oceanico. Pazzi non fa l'alchimista del verbo, non filosofeggia, non cerca l'immagine che ispiri Apocalissi sul divano: ha il verso che gli scorre facile nel sangue, come testimonia l'«antologia personale di poesia» Un giorno senza sera (La nave di Teseo, pagg. 296, euro 18). A me piace quando, come nel romanzo, s'avventa nell'insolito, specie di Borges depurato dai sofismi («Metteva nome Stanley a fiumi/ che nessuno conosceva.

/ E sulle carte vergini dell'Africa/ città e cascate apparivano/ evocate da quell'esperto di nomi./ L'esploratore non rivelò mai/ la formula delle sue evocazioni»). In un mondo di romanzieri ammaestrati come foche e scrivere sempre le stesse cose, sia lode agli ambidestri che percorrono gli ignoti.

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