Diplomatico e storico, filosofo e scrittore, l'«impenitente spagnolo» Salvador De Madariaga (1886-1978) era un liberale nato. Sosteneva, con una battuta divertente ma meno peregrina di quanto possa sembrare, di appartenere a una razza in via di estinzione, quella degli uomini che preferiscono la libertà alla sicurezza delle uova al prosciutto. Sentiva la libertà scaturire come una linfa vitale, come una forza della natura, che non aveva bisogno di giustificazioni teoriche. Il suo era liberalismo allo stato puro: il liberalismo di un «uomo in piedi», per usare la suggestiva immagine che compare nel frontespizio di un libro di riflessioni filosofiche, uno dei suoi ultimi, ora ripubblicato in Italia: A testa alta! Ritratto di un uomo in piedi (Oaks, pp. 210, euro 18). L'«uomo eretto», secondo la sua visione, «fedele alla propria linea verticale che va dritta verso l'Altissimo», evita il rischio di annullarsi nel «gregge» e che mantiene intatte le sue caratteristiche di uomo libero, cioè di «colui che sa come tenere nelle proprie mai il potere di decidere il corso della sua vita».
Il liberalismo naturale e istintivo di De Madariaga divenne, per così dire, consapevole e politico soltanto nel 1947, in occasione delle celebrazioni per il centenario del Partito liberale belga, durante le quali venne fondata l'Internazionale Liberale della quale, nel 1952, lo stesso De Madariaga avrebbe assunto la presidenza. Da quel momento gran parte della sua attività di studioso fu rivolta a precisare le caratteristiche di un liberalismo che egli non voleva si trasformasse in una «casa aperta» frequentata da viaggiatori male assortiti. Per lui il liberalismo avrebbe potuto contribuire al miglioramento del mondo solo se, in nome della «tolleranza liberale», non fossero state valicate certe frontiere: «Il liberale non deve fare la figura di un socialista moderato o di un conservatore aperto all'aria del tempo. Ha la sua parola da dire, anzi la più importante. Soltanto il liberalismo segna e definisce la rotta che deve seguire il progresso umano».
La riflessione di De Madariaga, il suo «liberalismo integrale» cioè, era estranea alle mode e ai compromessi dello spirito dei tempi. Di qui certe sue asprezze speculative e chiusure alle tendenze più permissive della modernità che gli provocarono l'accusa di conservatore In realtà, un filo rosso attraversa l'intera vicenda umana, intellettuale e politica di Salvador De Madariaga: l'avversione al totalitarismo. Egli era convinto che ricerca dell'edonismo e permissivismo conducessero all'edificazione di una società totalitaria nella quale, per riprendere la sua colorita immagine, gli uomini preferiscono le uova al prosciutto alla libertà. Riteneva anche che certe dottrine politiche derivanti dal giacobinismo avessero un esito naturale nel comunismo o nel socialismo.
Le bestie nere di De Madariaga erano, dunque, la tendenza al livellamento, l'eliminazione delle gerarchie, la «mineralizzazione» degli uomini e la riduzione della società al livello di grani di massa indifferenziata. L'avversione dello studioso spagnolo a tutto ciò discendeva dalla quasi drammatica consapevolezza dell'angoscia esistenziale dell'uomo moderno da lui paragonato a un albero sradicato o, comunque, dalle radici malate. E l'albero, con la sua «verticalità» rappresentava, per lui, metaforicamente lo spirito che spingeva l'individuo a ergersi dalla massa e a trasformarsi in un «uomo in piedi».
Tutto un filone di pensiero liberale finisce nell'alveo della speculazione filosofico-politica di Salvador De Madariaga. Egli apparteneva alla generazione di Ludwig von Mises, Wilhelm Röpke, Ortega y Gasset, Miguel Unamuno e, come tutti costoro, aveva imparato a diffidare della massa. La società, per lui, avrebbe dovuto necessariamente avere una dimensione liberale e individualistica. La libertà, egli argomentava, è essenziale all'uomo in quanto individuo, ma, allora, diventa essenziale anche per l'uomo in quanto membro della società e, quindi, per la società stessa. Da queste premesse discendeva quella che è stata definita la connotazione antistatalista del liberalismo di De Madariaga.
La formazione cosmopolita, innestata sull'humus delle sollecitazioni intellettuali della cosiddetta «generazione del 98», e il suo «liberalismo eretico» spiegano, a ben vedere, l'europeismo di questo grande pensatore e uomo politico. Un europeismo intriso di orgoglio e amore per la grandezza e il lascito della sua terra. Auspicava una Europa che garantisse varietà nell'unità e non già unità nel disordine, una Europa che splendesse di luce altrettanto chiara quanto quella di ciascuna delle singole nazioni. Una pagina di A testa alta! fornisce una suggestiva immagine dell'idea di nazione secondo De Madariaga: «Una nazione può essere paragonata a un fiume della vita; e le onde dell'acqua che scorrono giù per il declivio del tempo richiamano alla mente il movimento di un gregge al trotto. La tradizione, la continuità di una nazione sono il corso o la marcia del gregge nel riverbero del tempo: un movimento orizzontale, inclinato verso il basso. Ma il corso della vita della nazione sarebbe presto prosciugato se non fosse ogni giorno arricchito all'affluire delle nuove acque. La vita di una nazione è il risultato di due forze: una tradizione che trasmette dal passato al futuro lo spirito delle passate generazioni con un'energia orizzontale; e il potere creativo della generazione vivente che un potente stimolo spinge verso l'alto».
Malgrado tante profonde differenze caratteriali e storiche, le nazioni, secondo De Madariaga, non avrebbero ostacolato la conquista, o riconquista, di quello «spirito europeo» cui, più o meno consapevolmente, esse si rifacevano. L'Europa sarebbe nata evitando ogni appiattimento superficiale e forzato: «Noi tutti vogliamo che l'Europa cessi di essere un manicomio di fanatici guerrafondai, ma nemmeno vogliamo che diventi un convento di trappisti. Vita e lotta devono sussistere, sia pure entro i limiti della ragione, e queste tensioni che un tempo sono state causa di guerre dovrebbero ora essere integrate nella comune vita europea ch'esse dovrebbero sollecitare e stimolare».
Quando De Madariaga si occupava di tali temi erano gli anni '50 e '60. Si era nel pieno della Guerra fredda, quando l'Europa, per usare ancora le sue parole, era «minacciata dall'interno e dall'esterno, da un Gengis Khan motorizzato a Mosca, e dalle sue tendenze interiori che la portavano all'autodistruzione». Molta acqua è passata da allora sotto i ponti.
E l'Europa, una Europa che probabilmente non gli sarebbe piaciuta perché troppo burocratica e statalista, è stata costruita. Eppure le sue pagine non sono invecchiate. E non hanno perso nulla del loro fascino perché rinfrescate dal soffio di quel suo liberalismo che non cede al trascorrere del tempo.
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