Se chiedete a lui, che ha scritto quaranta libri e ricevuto undici lauree honoris causa, come andasse a scuola, Piero Angela risponderà sorridendo: «Mi annoiavo a morte. Avevo buoni voti ma nessun professore che mi facesse amare ciò che studiavo». E forse, all'amatissimo decano dei divulgatori televisivi (92 anni e fino al 25 agosto ancora su Raiuno con l'eterno Superquark), l'idea di diventare quel che è diventato è venuta proprio a scuola. «Per caso iniziai a leggere da solo un libro di scienze. E scoprii ciò che a scuola non mi avevano mai detto: è fondamentale amare le cose, per capirle davvero. Mi prese la voglia di spiegarlo anche agli altri. Quella fu per me la scoperta di un mondo. E, in qualche modo, anche di una vocazione».
Lei come si definirebbe?
«Un curioso che s'informa. Da adolescente leggevo l'Enciclopedia dei Ragazzi Mondadori: tanti libri quante sono le discipline del sapere. Beh: fra tutti, il Libro dei perché era il più consumato. Io sono come quei bambini che chiedono continuamente: perché?. Ecco: quelli sono già futuri, possibili conoscitori. Perché molti di noi hanno dentro la benzina del sapere - molti, non tutti: alcuni hanno solo acqua fresca - ma bisogna che qualcuno accenda un fiammifero, per infiammare la loro conoscenza. E bisogna farlo subito: già verso i 15 anni si sono accesi altri fiammiferi... E quello della curiosità si è perso per sempre».
Come si fa ad accenderlo?
«Non esistono formule. Bisogna mettersi dalla parte degli scienziati per i contenuti, ma da quella del pubblico per il linguaggio. Perché la chiave d'accesso della conoscenza è il linguaggio. Ha mai sentito due medici che parlano fra loro? Sei tagliato fuori dai loro discorsi. Molti studiosi credono di sminuirsi parlando facile. Ma io rifiuto la finta serietà. La serietà vera dev'essere nei contenuti, non nella forma».
E di quegli intellettuali che usano un linguaggio comprensibile solo agli intellettuali, che ne pensa?
«L'incomprensibilità di quanto dicono mi ricorda quella di certi testi universitari, che pur scritti in italiano, devono essere tradotti in parole accessibili. Costoro non sono abituati a parlare alle persone qualsiasi: manca loro la capacità di mettersi in quei panni. Come quando citano brani in latino o in inglese, ma non li traducono. Come a dire: se l'hai capita bene, se no peggio per te. Non è colpa mia, se tu sei ignorante».
Allora il nodo è tutto qui: come si fa a mettersi nei panni degli altri?
«Parlando chiaro, innanzitutto. Se un telespettatore non ti capisce la colpa non è sua, ma tua. E questo costa fatica, perché è più faticoso essere facili, che complicati. Poi bisogna assolutamente evitare di essere noiosi: come fa ad interessarti a qualcosa, se intanto sbadigli? Infine meglio illustrare qualcosa in forma spiritosa, piuttosto che seriosa. L'umorismo è uno dei compagni di viaggio dell'intelligenza».
Fra tutti i campi da lei resi accessibili scienza, storia, cultura, tecnologia - qual è il suo preferito?
«La scienza. Che poi è il filo conduttore di tutti gli altri. Il cervello umano ha una capacità unica: quella di saper imitare la realtà per ricrearne un'altra, che non esiste ma che, pure, sembra reale. È da questa capacità d'immaginare, che nascono l'arte, la tecnologia, le scienze... L'uomo che immagina è l'Uomo».
C'è stato qualcuno che s'è rifiutato di seguirla sulla strada della divulgazione?
«Uno. E famoso: Rita Levi Montalcini. Nel '69 le chiesi di spiegare in tre minuti, all'interno di un mio programma, il fattore di crescita nervosa che poi le avrebbe procurato il Nobel. Tre minuti? Scherza? Non basteranno mai!. Si alzò, mi dette la mano e si congedò. Ma anni dopo si scusò: Io ho un debito con lei».
E qualcuno che si è sentito toccato, o sminuito?
«Alcuni medici omeopati. A causa loro ho subito vari processi per diffamazione. Si erano sentiti calunniati dalle mie osservazioni sull'omeopatia. Ma grazie al parere di alcuni scienziati fra cui la stessa Levi Montalcini - sono sempre stato assolto con formula piena».
Sulle sue orme cammina suo figlio Alberto. L'allievo ha superato il maestro?
«Da piccolo i maestri della scuola francese lo chiamavano monsieur pourquoi. Quando scopriva qualcosa su dinosauri o squali ci teneva delle conferenze in famiglia, e guai a fermarlo! Non m'interrompete!. Poi divenne un paleontologo di valore, con un curriculum lungo così. Allora il dirigente Rai Melodìa mi propose di prenderlo con me. Sei matto? gli risposi - Mi accuseranno di nepotismo. Ma non si può fare della meritocrazia al contrario: Alberto era, ed è, un elemento di valore. E rispetto a me è un grande narratore».
È
orgoglioso che nello spazio ci sia l'asteroide «7197 Piero Angela»?«Sono più orgoglioso di un premio ricevuto tanti anni fa dall'Ordine dei giornalisti. E della sua motivazione: Per aver onorato il nostro mestiere».
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