Se un ragazzino ci insegna che la vita è tutta un "quasi"

Nell'ultimo romanzo della trilogia di Don Robertson, il giovane Morris Bird III diventa uomo. Anzi, filosofo

Se un ragazzino ci insegna che la vita è tutta un "quasi"

Conosciamo tutti il vecchio proverbio utilizzato come frasetta ammonitoria: «Con i se e con i ma la storia non si fa». È la difesa d'ufficio della Storia, ovvero dei libri scritti dagli storici accreditati, un atto di ossequio verso la disciplina che procede a ritroso perché ha la testa volta all'indietro, come gli indovini nell'Inferno di Dante. Ma quella frasetta, a ben vedere, è un'erronea semplificazione che mette sullo stesso piano quei due piccoli nemici del canone storico. Perché il «se» introduce un'ipotesi, cioè parte per la tangente, mentre il «ma» ha valore avversativo, cioè resta sul pezzo di qualcosa che effettivamente è accaduto. Dunque il «se» ci allontana dai fatti reali immaginando fatti alternativi (se Napoleone avesse vinto a Waterloo...), mentre il «ma» ci avvicina a essi e lo fa nel modo più semplice: presentandone altri che confliggono con i precedenti (verrei volentieri a cena con te, ma questa sera non mi sento bene). Insomma, è il «se» il vero nemico della Storia, mentre il «ma» non soltanto non le è nemico: le è amico, procurandole nuove informazioni.

Diversamente dagli storici, che aborrono il «se» e trascurano il «ma», i letterati non potrebbero farne a meno: il «se» e il «ma» sono i loro principali nutrimenti. Senza se e senza ma la letteratura non si fa. La letteratura è costruita sull'ipotesi e/o sul conflitto. E i migliori letterati sono quelli che, per così dire, tengono sempre sott'occhio il cronometro che misura il tempo interno all'opera, qualsiasi sia il suo spazio. Accade in I fratelli Karamazov di Dostoevskij, perfetta macchina teatrale che scandisce battute, entrate e uscite di scena, assenze e chiamate in correità; in La montagna incantata di Thomas Mann, bolla fuori dal mondo dove tutto si avvicina e tutto si allontana; ovviamente in Alla ricerca del tempo perduto di Proust, camera delle meraviglie in cui il petalo di un fiore o la smorfia di una cameriera sono passaggi spazio-temporali verso altre dimensioni.

Ora, ascoltiamo la forza di questo titolo: The greatest thing that almost happened, ovvero «La cosa più grande che è quasi accaduta». Capiamo subito che qui a comandare non saranno le «cose» (i fatti, direbbero gli storici), bensì il «quasi», avverbio e congiunzione, Giano bifronte che vale «se» e «ma» insieme. Nella prima versione italiana il titolo è diventato Tutto quello che per poco non è successo (Nutrimenti, pagg. 277, euro 19, traduzione di Nicola Manuppelli, in libreria da venerdì prossimo), non perfettamente sovrapponibile all'originale, eppure persino più efficace, con quel «per poco non». È il romanzo di Don Robertson (1929-1999) datato 1970 e chiude la trilogia su Morris Bird III, dopo Il più grande spettacolo del mondo e La somma e il totale di questo preciso momento (usciti sempre da Nutrimenti nel 2020 e nel 2021), anch'essi ambientati a Cleveland.

Morris ora ha 17 anni. Ne aveva 9 quando fu coinvolto in un disastro e ne aveva 13 quando ne provocò uno (ma a fin di bene). Con i disastri, insomma, ha già dato, se contiamo anche la morte, a 56 anni, dell'adorata nonna Elizabeth, di due suoi amici e ora, nel 1952, della madre (detto onestamente - da lui stesso - non proprio amata). Diventato uomo di fatto, oltre che di diritto per i meriti acquisiti sul campo accidentato della sua breve vita, Morris vorrebbe che Julie, la sua fidanzatina, mollasse gli ormeggi... Insomma «gli viene in mente che se Dio gli si presentasse davanti e gli chiedesse PREFERIRESTI ESSERE LEBBROSO O ANCORA VERGINE? Risponderebbe: Lebbroso, mio signore... a patto che, cioè, i lebbrosi scopino».

E qui occorre andare a capo per passare, dal tono ironico e già nostalgico, da C'era una volta in America o da Il giovane Holden, a quello meditabondo e fatalista di un ragazzo in piena tempesta esistenziale, oltre che ormonale. Leggiamo infatti subito dopo: «Ma tutte le cose belle finiscono. E alcune cose belle finiscono prima di accadere. Dio solo sa se non sono a un passo dall'accadere, ma quando hai diciassette anni, troppe ti vengono strappate via all'ultimo secondo». Ecco, in queste tre frasi di pagina 24 abbiamo già tutto il romanzo che ci guarderemo bene dal sunteggiare. Anche perché la storia di Morris non è, diversamente dalla Storia degli storici, una successione di eventi, bensì una successione di non eventi, o di quasi eventi.

Condotti dalla sensibilità e dall'arte scrittoria di Don Robertson, il padre che Morris avrebbe meritato anche in carne e ossa, invece del superficiale e distratto Morris Bird II (la risata di un simpatico ragazzo «nero come la pece», nuovo vicino di casa, è «rosa», nel senso di amichevole e chiara; nella palestra della scuola c'è un «odore caldo, antisettico, e al tempo stesso vagamente gessoso»; in attesa della partita di basket «Il brusio della folla era bianco e implacabile»), accompagniamo Morris da Julie mentre la mamma di lei è fuori, con ciò che ne consegue, anzi non ne consegue; al colloquio con la signorina Goldfarb, la professoressa di inglese che tutti i maschi vorrebbero, con le sue grandi tette, la voce carezzevole, gli innumerevoli braccialetti che tintinnano e seducono; e anche in bagno, a casa sua, dove un giorno «mentre era seduto sul cesso, iniziò a sanguinare dal culo». Si tratta di «emorroidi sul punto di scoppiare»?

Non risponderemmo nemmeno sotto tortura, perché Morris, che «aveva una cattiva abitudine, o almeno sospettava che fosse una cattiva abitudine, e cioè pensava troppo», prima, durante e dopo «La cosa più grande che è quasi accaduta» continua a pensare.

La sua testa è come un cinema che contiene tutto: la guerra di Corea e un tiro scoccato all'ultimo secondo, un medico con le dita pelose e un gatto da riportare alla sua padrona, le mutandine di Julie e la malcelata compassione della gente, per la quale «Era sempre bello cospargersi di pietà, specialmente quando eri un sopravvissuto». E quando, commossi, lo salutiamo per l'ultima volta, non possiamo non dargli ragione: «le cose più grandi che accadono nella vita sono sempre le cose più grandi quasi accadute».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica