La letteratura di Aldo Nove ha sempre fornicato con l'attualità. Per dire: negli anni Novanta ha raccontato l'orrenda e comica deriva del consumismo totale, Pure&Vegetal. Nei Duemila ha battuto le strade del precariato, il mondo di quelli che a 40 anni guadagnano 250 euro al mese. E poi ha sempre parlato e scritto del rapporto fra impegno e sistema: nei blog e sui giornali ha denunciato cento volte l'appiattimento onnicomprensivo del mondo, l'annichilimento della cultura. Questioni sociali e rigore etico.
Oggi, Aldo Nove - in tempi in cui tutto è finanza e il Bitcoin è un elemento costitutivo dell'anima - è tornato. Apocalittico e arrabbiato. E cosa fa? «Credo nell'impegno e nella politica, eccome. Ma non ci sono le condizioni certo per scendere in piazza, oggi che siamo tutti contro tutti». E infatti pubblica un libro, Il Professore di Viggiù (Bompiani, pagg. 180, euro 17), anomalo in tutto, fin dalla forma. «È un libro borderline tra le due etichette, il romanzo e il saggio: scrivendolo, con molto poca umiltà, pensavo a un autore come Borges. Comunque una narrazione lineare classica non c'è, e spesso prevale una componente di riflessione, o di meditazione persino». Sottotitolo: «Tutto è cambiato». Tutto è cambiato nel lavoro, che manca. Nella politica, che è spettacolo. Nell'economia, che domina la politica. Nella vita quotidiana, tiranneggiata da un ormai virtuale iperconsumismo. Nel libro di Aldo Nove non c'è neppure più una distinzione tra vivi e morti, o tra vivi e zombi, troppo scontata. «L'unica differenza ormai è tra morti, gli schiavi, e super morti, chi li dirige».
Fabula: un Professore, un po' guru un po' maestro - un uomo che conosce le cose - scompare dalla città di Viggiù (che per caso è anche quella di Aldo Nove), consegnando tutti i suoi insegnamenti a un quadernetto che lascia all'unico discepolo, che si chiama come un evangelista, il quale a sua volta lo passa al Narratore (che per caso si chiama Antonello, che è il vero nome, dietro lo pseudonimo, di Aldo Nove). Dopo di che - mentre un canguro, animale magico, dichiara sciolta l'Unione europea; un coccodrillo, animale sacro, divora Angela Merkel; e Donald Trump si dimette riconsegnando gli Stati Uniti ai nativi americani - scompare del tutto, rifugiandosi, isolato, da qualche parte... E solo per caso isolato da qualche parte, Aldo Nove accetta di parlarci, via Skype.
Sei scappato anche tu... Lasciandoci una visione disperata e angosciata del mondo.
«Non sono perplesso e spaventato per ciò che sta accadendo, che è sotto gli occhi di tutti. Ma per la velocità con cui accade. È l'accelerazione dei fatti che fa paura. Come se fossimo su un tapis roulant diventato troppo veloce, tanto da travolgerci a vicenda».
Pensi alla situazione politica mondiale? All'economia? Alla vita sociale?
«A tutto. Dal punto di vista politico, è un bollettino di guerra psicologica quotidiana. Putin. La Corea. La Siria. Prima sembra che scoppi la guerra. Poi la pace. Ma fuori resta una tensione di fondo. E dentro un'angoscia ineliminabile».
«Tutto è cambiato» non è solo il sottotitolo del libro.
«Quando andavo a scuola la situazione geo-politica mondiale era sempre quella, uguale per decenni. Oggi guarda come cambiano per forma e dimensioni - ma è solo un esempio - le aree occupate, poi perse, poi riconquistate dal Califfato... Guarda come cambiano i rapporti di forza tra le grandi potenze».
E il problema è che noi non riusciamo ad adeguarci alla velocità con la quale le cose cambiano.
«No. Il problema è che noi ci siamo assuefatti a tale velocità, che è peggio. La gente dice: Non seguo più i telegiornali - e i giornali ancora ameno - non riesco più starci dietro. Non siamo più culturalmente, mentalmente, fisicamente abituati a collocarci nel nuovo orizzonte di senso».
L'effetto finale?
«Che la dichiarazione di guerra di un politico finisce per avere lo stesso peso della rivelazione che un'attrice si è rifatta il seno».
Tu parli di (ex) consumismo allucinato, di un'unica divinità che si chiama Denaro, di un'umanità a pezzi. Una visione apocalittica.
«O realistica? Sento moltissime tensioni in giro. E il mio libro riflette su tutte le cose che mi sfuggono, che fuggono velocissimamente».
Esempi?
«Quando ero un bambino, stavo in giro per il paese a giocare tutto il giorno; oggi se vedono due bimbi da soli in un prato chiamano la polizia e denunciano i genitori. Quando ero ragazzo andavo ai concerti per divertirmi, oggi rischi un attentato. Venti anni fa il precariato era una questione sindacale-contrattuale, oggi è una questione ontologica. Quando ho cominciato a lavorare, il telefonino e internet erano un aiuto straordinario. Ora l'iPhone e il tablet sono diventati un'estensione inquietante del nostro corpo... Io non ho paura del cambiamento, ma di un cambiamento così veloce, ingestibile, disumano. Di fronte a questo transumanesimo mi sento conservatore».
Conservatore... A leggere Il Professore di Viggiù, anche peggio. Dietro il tuo scagliarsi contro il potere disumano della finanza si sente Pound. Citi mezza storia della mistica mondiale, da René Guénon ad Alce Nero, che neanche il catalogo Adelphi. E scopro che hai studiato moltissimo Evola... Proprio tu, lo scrittore da manuale della sinistra intellettuale.
«Beh, l'accostamento a Pound mi onora, mi sono formato sui suoi libri: al di là della sua scelta politica, resta tra le menti più alte del '900, come sanno tutti coloro che amano la poesia. E la sua critica alla degenerazione dell'economia di mercato ha ancora un senso, per me. Per la mistica, invece, è una delle vie di uscita che ci restano alla crisi in cui ci troviamo. È ciò che ci rende liberi di guardare dentro noi stessi per provare a capire il mondo».
E cambiarlo, magari. Il tuo rapporto con la politica?
«Alle ultime elezioni non ho votato. Però, anche se non concordo con loro, ho seguito con attenzione Potere al Popolo e Casa Pound, un movimento che - al netto di un odioso razzismo - manifesta ancora un residuo di ideologia, in un tempo in cui l'ideologia sembra solo una parolaccia. Resto, sono di sinistra, ma la sinistra non è più rappresentata. Altro che scrittore della sinistra...».
Scrittore cannibale, soprattutto. Nel libro dici che da anni ti porti dietro questa etichetta «in un paese di deficienti in cui editori e lettori non si sottraggono certo alla demenza del resto della popolazione per il fatto che leggono libri». O fingono di farlo.
«Un giorno, era da poco uscita l'antologia Gioventù cannibale, sono in macchina con Niccolò Ammaniti, che mi dice: Noi siamo dei vecchi moralisti.... È vero. Quello che facevamo era descrivere, attraverso l'arma dell'artificio letterario e del sarcasmo, una situazione di degenerazione sociale... E purtroppo Woobinda ha vinto. Quello che si raccontava in quei libri si è realizzato...».
Cosa si è realizzato?
«Il fatto che la politica sia diventata succube dei mercati mentre i mercati non dipendono più da merci reali ma da dati virtuali. Che abitiamo in un'Europa nata su trattati incomprensibili, sui quali non c'è stato alcun plebiscito e che non ha alcuna giustificazione storica, altro che sogno di Ventotene... Che esiste la Bce che è una banca privata che gestisce un'Unione fondata su una moneta artificiale. Che viviamo in un mondo dove dominano non le fake news, che sarebbe il meno, ma una fake life...».
Fake life?
«Hai presente la famosa vignetta in cui ci sono un uomo e una donna nudi, di spalle, mano nella mano, su una spiaggia deserta, bellissima, l'Eden, e uno dei due dice: Sto benissimo, non vedo l'ora di incontrarti online? Ecco... Noi siamo quella vignetta».
Per fortuna c'è la letteratura che ci salverà...
«Il processo di de-culturizzazione nel Paese è arrivato a livelli tali che io quando scrivevo Woobinda sbagliavo i congiuntivi apposta per creare un effetto letterario. Oggi li sbaglia il candidato premier... Mondo culturale, editoria, critica... È tutto il sistema ormai che è passato dalla parte oscura, o semplicemente idiota, della Forza. Quando a decidere dentro i grandi gruppi editoriali sono gli Ad e il management, figure che hanno competenza per i conti ma non per la letteratura, e l'unica cosa che conta è Vendere, vendere, vendere, allora non importa più a nessuno che la merce, cioè i libri, sia avariata. Poi non importa più a nessuno se la gente copra i libri dei masterchef invece che leggere le poesie di Milo De Angelis».
E come se ne esce da questa waste land culturale e sociale?
«Forse scegliendo la solitudine, come fa il professore di
Viggiù, sapendo che però sparire non è una fuga, ma un tentativo di riflessione su se stessi. O forse scrivendo, come faccio io. Comunque scavando in noi stessi e riscoprendoci come individui. Dotati di anima e compassione».
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