La stagione dell'arte riparte da Moore

La doppia mostra dedicata all'artista inglese segna un nuovo modo di vivere i musei

La stagione dell'arte riparte da Moore

La bellezza di Firenze, oggi, è solo per i fiorentini. Unica città d'arte in zona gialla, è off-limits per tutti gli altri. Pochi estranei, niente curiosi, nessun turista.

Il Battistero, il Duomo, le piazze, i ponti sull'Arno. E i musei. Visitabili come mai è possibile visitarli: in completa solitudine. Due giorni fa ha aperto il Giardino di Boboli, ieri Palazzo Pitti, oggi gli Uffizi. Quando mai capiterà di poterli attraversare senza la massa dei turisti mordi-e-fuggi che abbiamo sempre deprecato e oggi ci mancano così tanto?

L'arte, i musei e le mostre ripartono dalla Toscana: un nuovo rinascimento, con la minuscola, dopo il lockdown. Ieri a Palazzo BLU a Pisa c'è stata la vernice della mostra De Chirico e la metafisica. In tutta la regione riaprono i musei. E lunedì, a rialzare il sipario sull'arte, primo in Italia in questo inizio 2021, è stato il Museo del Novecento di Firenze inaugurando due mostre parallele dedicate a Henry Moore (1898-1986), artista legato a doppio filo con la città, la Versilia e le Apuane.

A quasi cinquant'anni dall'epocale mostra al Forte di Belvedere che vide protagonista il maestro della scultura inglese, era il 1972, quando Firenze veniva fuori faticosamente dall'alluvione e si apriva per la prima volta in modo plateale all'arte contemporanea, oggi il Museo del Novecento, polo brillante e coraggioso del contemporaneo, per incoraggiare l'uscita da una delle peggiori difficoltà umane e sociali che ci si ricordi, torna al grande artista con un progetto complesso e completo. E lo fa affiancando la grande mostra Henry Moore. Il disegno dello scultore (fino al 18 luglio), curata da Sebastiano Barassi della Henry Moore Foundation e da Sergio Risaliti, direttore del museo fiorentino, alla più piccola Henry Moore in Toscana (fino al 30 maggio), ricchissima di documenti e fotografie sulla sua presenza italiana.

Due mostre, tre interi piani del museo, centoquaranta opere fra disegni e piccole sculture, quattro film (con materiale inedito o rarissimo), due anni di lavoro - l'intero progetto fu pensato molto prima della pandemia - e un budget incredibilmente basso rispetto al risultato, sotto i 200mila euro. Che, al netto del contributo del Monte dei Paschi, significa quasi nulla per le casse pubbliche. Del resto il Covid ha cambiato tutto. Nulla, anche nel mondo dell'arte, sarà come prima. Lo spiega bene il direttore del museo, Sergio Risaliti: «Ormai le mostre devono essere eco-sostenibili. Dove eco non significa solo ecologicamente, ma economicamente. Le mostre da milioni di euro non si potranno più fare. La pandemia ha mostrato che il re è nudo: per anni i musei hanno accettato di sottostare alla dittatura della bigliettazione - era una gara a staccare più biglietti possibile, e per farlo qualsiasi mostra acchiappapubblico andava bene - e persino degli algoritmi per gestire la programmazione dell'offerta culturale. Ora finalmente possiamo fare i conti con la qualità, non con la quantità. Quello che è successo è l'occasione per ribaltare la prospettiva: prima dei turisti vengono i cittadini, perché il museo è soprattutto loro, e prima della crescita del profitto viene la crescita culturale, perché i musei devono offrire conoscenza, poi pensare al ritorno di investimenti».

Del resto, mentre l'intero sistema dell'arte dibatte da mesi su cosa succederà alle mostre e ai musei dopo la pandemia, Risaliti e due suoi colleghi, Sylvain Bellenger, direttore del Museo di Capodimonte, e Giovanni Iovane, direttore dell'Accademia di Brera, hanno lanciato, nel novembre scorso, un «Manifesto» per il museo del futuro. Che deve incardinare la necessaria visione imprenditoriale dentro una imprescindibile visione pubblica. I musei cioè non più solo depositi di opere d'arte e luoghi di conservazione del patrimonio, ma centri di produzione di conoscenza, laboratori di ricerca, residenza di giovani artisti, scuola di formazione per i talenti di domani. Deve cambiare l'idea stessa di museo.

E così cambieranno anche le città d'arte, che prima abbiamo trasformato in parchi tematici, poi ci siamo scandalizzati per la loro disneyzzazione e adesso che è scomparso il turismo di massa non sappiamo più cosa farne... Così cambieranno le mostre: come saranno quelle di domani? Si dice più piccole e più scientifiche, meno spettacolari e meno pop.

Intanto, ecco le due mostre - ricche, curatissime, originali - dedicate a Henry Moore. Da una parte l'approfondimento del valore del disegno per l'artista inglese nella pratica della scultura: a partire dal teschio di elefante che gli fu regalato da un amico zoologo negli anni '60 e che Moore tenne sempre nel suo studio, ecco una serie di disegni e di grafiche ispirate al suo animale totem (come lo fu il toro per Picasso, e lo stesso Risaliti è pronto a mettere l'Henry Moore disegnatore sullo stesso piano del maestro spagnolo o di un Rembrandt) e alle forme naturali a lui più vicine. Rocce, radici, ossa e tronchi: nature morte che diventano immagini viventi. E dall'altra un percorso, consequenziale alla collezione permanente del museo, formatasi attorno alle donazioni di opere d'arte contemporanee da parte di collezionisti toscani dopo l'alluvione del '66, che ricostruisce il legame strettissimo fra Moore e Firenze, dove arrivò la prima volta negli anni Venti; con la Versilia, dove soggiornò a lungo; e con le Apuane, il cui marmo divenne materiale privilegiato per i suoi lavori. Ed ecco le lettere agli amici italiani, i cataloghi delle prime mostre, le foto con Eugenio Montale, quelle - splendide, degli anni '60 - in cui Moore si arrampica con le corde sulle pareti delle cave, come Michelangelo...

Intanto, oggi, mentre nel resto d'Italia mostre e musei sono impietosamente chiusi, in una Firenze irriconoscibile, le sale del Museo del Novecento vengono lentamente riconquistate dai fiorentini.

Qualche studente, alcune coppie adulte, molti pensionati: 150-200 visitatori al giorno, weekend esclusi («Strana la decisione del governo di chiudere i musei al sabato e la domenica...», sospira Risaliti). Non è molto, ma abbastanza per ricominciare. Più lentamente, forse, si potrà andare anche più lontano.

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