La "terza via" dell'Italia nella guerra d'Algeria

Il nostro Paese tentò l'approccio neoatlantico tra sostegno alla Francia e all'indipendenza

La "terza via" dell'Italia nella guerra d'Algeria

Già all'indomani del secondo conflitto mondiale, la Francia, allora guidata dal generale Charles De Gaulle come capo del governo provvisorio della Repubblica, si ritrovò alle prese con le pulsioni anticolonialiste dei suoi territori oltremare: pulsioni destinate, ben presto, a confluire in quel generalizzato processo di decolonizzazione che è assimilabile a una vera e propria rivoluzione epocale. La Francia dovette, in particolare, fronteggiare le richieste di autonomia o di indipendenza provenienti dall'Algeria. Occupato nel 1830 sotto il regno di Carlo X questo territorio, adesso, al termine della guerra, stava subendo una profonda metamorfosi politica e identitaria: da «Algeria dei francesi» voleva trasformarsi in «Algeria degli algerini». Una prospettiva che il governo francese non voleva e, probabilmente, non poteva accettare, se non per altro, quanto meno per il fatto che i coloni francesi, a distanza di un secolo o poco più dall'occupazione militare, avevano superato il milione di unità. Il che, peraltro, spiega la politica portata avanti dai francesi, in quei turbolenti anni del dopoguerra, tra progetti di riforme economiche e attività repressive, di fronte alle sempre più pressanti richieste del nazionalismo algerino.

Che la Francia, pur in un generalizzato clima internazionale di decolonizzazione, cercasse di bloccare il percorso verso l'indipendenza algerina è, del resto, comprensibile proprio perché questa colonia, rispetto alle altre, aveva uno status particolare il suo era territorio metropolitano e, come se ciò non bastasse, era un territorio importante dal punto di vista economico e delle ricchezze energetiche del suo sottosuolo.

La questione algerina era una questione che riguardava in primo luogo la Francia e la sua storia, ma era, anche, una questione che si inseriva in quadro geopolitico completamente mutato con la guerra mondiale e caratterizzato, ormai, dall'assetto internazionale bipolare dominato dalle due superpotenze, Usa e Urss, e dalla decolonizzazione. Essa, inoltre, finiva per interessare anche le potenze intermedie o regionali che guardavano, per motivi di natura economica o politico-strategica ma pure per richiami storico-culturali, al Mediterraneo e alle sue aree di riferimento.

Anche l'Italia fu tra i paesi che seguirono con attenzione quanto stava avvenendo oltralpe e oltremare. E su questa attenzione è costruito l'ottimo lavoro di Flavia De Lucia Lumeno dal titolo Non li lasceremo soli. Italia, Francia e Algeria 1945-1958 (Guerini e Associati) basato prevalentemente su una inedita documentazione archivistica di natura diplomatica e arricchito da una prefazione di Giulio Sapelli e una postfazione di Gaetano Quagliariello.

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Quella che sarebbe passata alla storia come «guerra d'Algeria» e che assunse anche i connotati di una drammatica guerra civile ebbe, convenzionalmente, inizio con la tragica alba di sangue del 1° novembre 1954 quando una trentina di attentati simultanei risvegliarono all'improvviso migliaia di persone e si concluse ufficialmente il 19 marzo 1962 con la concessione dell'indipendenza da parte di una Francia nella quale, da un quadriennio, era stato richiamato al potere De Gaulle con il compito di risolvere la grave crisi politica innescata proprio dagli eventi algerini. Il volume di Flavia De Lucia Lumeno che si ferma cronologicamente al 1958 ma che avrà una sua continuazione in un prossimo e annunciato lavoro dedicato al quadriennio successivo ricostruisce con accuratezza l'atteggiamento dell'Italia di fronte a quegli eventi utilizzando soprattutto i rapporti e la corrispondenza di ambasciatori e diplomatici italiani. Erano gli anni nei quali in Italia stava maturando l'ipotesi di una politica estera cosiddetta «neoatlantica» che, pur non abbandonando l'ancoraggio tradizionale alla alleanza con gli Stati Uniti, postulava un protagonismo nel Mediterraneo e verso il mondo arabo.

In un contesto del genere la diplomazia italiana cominciò a guardare con sempre maggiore interesse anche come possibile partner commerciale ed economico, ma cercò di mantenere una posizione di equilibrio con la Francia. Si trovò così a doversi bilanciare tra una posizione di appoggio alla politica francese di difesa dei propri territori coloniali e una politica di attenzione nei confronti dei movimenti indipendentisti algerini. I rapporti dei nostri diplomatici in Francia, a cominciare da quelli di Piero Quaroni, analizzati con acribia filologica dall'autrice, mostrano come la diplomazia italiana cercasse di portare avanti, all'insegna del realismo politico, una linea che le consentisse di non inimicarsi i francesi mantenendo al tempo stesso buoni rapporti con gli algerini: una linea, insomma, che si dipanava lungo il difficile discrimine che separava una posizione filofrancese e una posizione di moderato filoarabismo. Non si trattava, tuttavia, di una politica contraddittoria ed esitante, quanto piuttosto di una politica realistica ispirata proprio alle idee del neoatlantismo. In questo quadro ebbe un ruolo, non ufficiale ma comunque di rilievo, la figura di Enrico Mattei che fa la sua apparizione negli ultimi capitoli del volume nelle vesti, si potrebbe dire, di mediatore.

Le relazioni inviate a Roma da Pietro Quaroni, ma anche da altri esponenti significativi del corpo diplomatico, dimostrano come la diplomazia italiana, in questa difficile contingenza, abbia saputo comprendere la lezione della storia rendendosi conto che non sarebbe stato possibile fermare il processo che avrebbe portato all'indipendenza dell'Algeria.

E, in effetti, di lì a qualche tempo, il generale De Gaulle, con chiaroveggenza politica, ne avrebbe preso atto concedendo l'indipendenza all'antica colonia francese anche contro coloro che lo avevano riportato al potere.

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