Gian Maria Tosatti (Roma, 1980) è un artista visivo italiano. Così egli stesso si definisce nel proprio sito. «I suoi progetti sono indagini a lungo termine su temi legati al concetto di identità, sia sul piano politico che spirtuale (ndr, immaginiamo stia per spirituale). Il suo lavoro consiste principalmente in grandi installazioni site specific concepite per interi edifici o aree urbane. La sua pratica coinvolge spesso le comunità connesse ai luoghi in cui le opere prendono corpo». Tosatti è anche giornalista e scrittore, editorialista, scrive saggi sull'arte e la politica. A Tosatti è stato assegnato dal curatore del Padiglione Italia, Eugenio Viola, la responsabilità di allestire interamente lo spazio: per la prima volta nella storia il compito è affidato a un solo artista. Il titolo scelto, Storia della Notte e Destino delle Comete, è molto letterario, forse in ossequio alla sua attività di scrittore: lo ha notato anche il presidente della Biennale, Roberto Cicutto, che da ex uomo di cinema ha dichiarato che sarebbe stato felice di produrre un film con un titolo del genere. Così è.
Viola aveva già curato opere di Tosatti al Museo Madre di Napoli: «Per entrambi, un progetto deve necessariamente esprimere una tensione etico-politica e concepirsi come un lucido saggio visivo, parte di un più ampio racconto per immagini in costante divenire». Di fatto, Tosatti è l'esponente di spicco dell'artivismo italiano, cioè dell'arte che si fa politica e sociologia. Più in generale, Tosatti è oggi il più ricercato artista-curator italiano: non solo sarà l'unico italiano ad esporre nel 2023 nei prestigiosi spazi dell'Hangar Bicocca di Milano, cattedrale del contemporaneo, ma è stato nominato anche curatore della prossima Quadriennale di Roma. Qualcuno ha provato a lamentarsi di questa sovrapposizione, nulla però si può di fronte agli indefessi applauditori.
In ogni caso, Tosatti ha installato dovunque nel mondo, e spesso le installazioni non sono immediate e richiedono una spiegazione che lui stesso elargisce al fruitore. Il suo sito è pieno di descrizioni anodine di opere altrettanto anodine, in grado però di generare a cascata una retorica roboante. L'installazione negli spazi delle Tese è una sequenza di spazi industriali vuoti, con macchinari in disuso e oggetti abbandonati, in cui non si percepisce nessuna traccia della presenza umana: «Sono scenari spiazzanti che preparano la visione finale, in cui l'immaginario si ribalta in una vera e propria epifania». Per suscitare questa epifania si deve entrare in silenzio uno alla volta, così i gentili mediatori culturali invitano il pubblico in fila, e quando si è dentro tutti aspettano l'illuminazione. In una fabbrica di tessuti dismessa tante macchine da cucire e un lungo banco da taglio. È un'ottima scenografia, ma l'opera non c'è, una scenografia vuota, costosa, lo Stato ha investito 600mila euro, i privati 1 milione e 400mila: sarebbe bastato portare i visitatori al Museo del tessile di Busto Arsizio che, immaginiamo, Tosatti non abbai mai visto.
Intorno alla scenografia di uno spettacolo che non c'è, si misurano gli operatori del settore che fanno a gara per riempire di senso il vuoto e il silenzio dell'installazione: questo il vero miracolo di Tosatti a cui ci inchiniamo con ammirazione. L'opera secondo alcuni proporrebbe una visione dello stato attuale dell'umanità e delle sue prospettive future, altri addirittura danno conto dell'aspetto profetico che rimanderebbe al clima della guerra in Ucraina dove le fabbriche sono state per davvero abbandonate.
La press release ci dice che l'opera «si configura come un dispositivo intermediale», «una complessa macchina narrativa esperienziale», in grado «di offrire una consapevolezza nuova e generare riflessioni concrete sul possibile destino della civiltà umana». Nientepopodimenoche.
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