A Venezia che arte farà? La ripartenza convince

Palazzo Grassi e Punta della Dogana aprono con Cartier-Bresson, Nabil e la collettiva Untitled

A Venezia che arte farà? La ripartenza convince

Il Canal Grande è sorprendentemente vuoto e silenzioso, ma il molo di Palazzo Grassi ha riaperto. In una Serenissima svuotata dai turisti mordi-e-fuggi, dove tra le calli senti parlare veneziano e non inglese, mentre la celebre Festa del Redentore di metà luglio è stata annullata monsieur François Pinault, uno dei collezionisti d'arte contemporanea più importanti al mondo che proprio a Venezia scelse, 14 anni, di articolare la sua attività museale, ha deciso di «dare un segnale».

Lo dice nel suo ottimo italiano Bruno Racine, neo direttore della Pinault Collection (Palazzo Grassi + Punta della Dogana + il teatrino che insieme fanno qualcosa come 5mila mq espositivi): già nel gabinetto di Chirac e Juppé, a capo dell'Accademia di Francia a Roma e poi presidente del Centre Pompidou di Parigi e della Bibliothèque Nationale de France, appassionato di Dante (ed eccellente revisore dei conti), Racine ha appena ricevuto il mandato di ripensare la vocazione della Pinault Collection, che il prossimo anno inaugurerà il suo tempio nell'antica Borsa di Commercio di Parigi, in laguna. L'acqua alta prima la Basilica di San Marco è in parte in restauro e la pandemia dopo hanno messo in ginocchio una città già prima agonizzante per eccesso di presenze: Venezia rischia il marginale ruolo di consunta cartolina da postare. E mentre tutti tacciono perché programmare è difficile e gli investimenti latitano, la Collection Pinault annuncia per il 2021 (anno della ritrovata Biennale d'arte) una mostra-monstre sull'americano Bruce Nauman, maestro indiscusso dell'arte contemporanea: sarà a Punta della Dogana dove fino a dicembre è allestita Untitled 2020. Tre sguardi sull'arte di oggi, una collettiva di 60 artisti con opere dagli anni 40 ad oggi curata da Caroline Bourgeois e la coppia d'artisti Muna El Fituri e Thomas Houseago che strizza l'occhio ai temi del momento (blacklivesmatter, femminismo, ecologia). Dalla prossima primavera, ci sarà anche un restyling funzionale per Palazzo Grassi (via le vecchie tubature d'acciaio, messe a metà degli anni Ottanta da Gae Aulenti quando il palazzo era della Fiat, per tubi in poliplastica, perfetti per l'ambiente lagunare) così da migliorare gli standard di conservazione delle opere e la fruizione da parte del pubblico. Concretezza, insomma.

È il momento di proposte di qualità, ma capaci di conquistare tutti. Come quella, appena inaugurata a Palazzo Grassi, su Henri Cartier-Bresson Le Grand Jeu (fino al prossimo 10 gennaio a Venezia, poi andrà alla Bibliothéque Nationale de France). Difficile presentare qualcosa di nuovo su Cartier-Bresson: gli scatti del fotografo che fu definito l'«occhio del secolo» sono molto conosciuti, ma la forza della mostra sta nel «gioco intellettuale» della selezione dei lavori. Punto di partenza: le 385 immagini che lo stesso Cartier-Bresson scelse negli anni Settanta in quella poi denominata Master Collection (il meglio della sua produzione, tutta in formato 30 per 40 centimetri). Da qui cinque personalità, una all'insaputa dell'altra, sono state chiamate a indicare le loro 50 opere preferite. I selezionatori rispondono al nome di François Pinault, della fotografa delle star Annie Leibovitz, dello scrittore Javier Cercas, del regista Wim Wenders, della conservatrice Sylvie Aubenas. Ne escono così cinque mostre diverse, cinque punti di vista eccellenti su Henri Cartier-Bresson, il cultore dell'«istante decisivo» («la fotografia non è un lavoro, solo un duro divertimento. Non volere niente, aspettare la sorpresa, essere una lastra sensibile», diceva). È fotografo di strada per Pinault, maestro dell'inquadratura per Leibovitz, narratore di storie per Cercas e per Wenders, campione del bianco e nero per Aubenas. Si esce dalla mostra con l'idea di aver visto qualcosa di originale persino davanti agli scatti più celebri e di aver compreso, grazie a questo gioco, un tassello in più della vicenda, umana e professionale, di Cartier-Bresson, davanti al cui obiettivo passò la storia del Novecento.

In parallelo notevole il contrasto - Palazzo Grassi ospita anche la favola fotografica a colori saturi dell'artista 47enne egiziano Youssef Nabil, di stanza tra Parigi e New York e ben introdotto tra i collezionisti che contano.

Questo suo Once upon a dream è un percorso in 120 foto dipinte a mano dove Nabil si autoritrae spesso mentre dorme: sogna danzatrici del ventre, narghilé, palme, baci, il Mediteraneo. In autoesilio da anni, mostra un Egitto dei Faraoni che forse mai è esistito e questo contrappunto malinconico stempera il parossismo affettato di certe sue instagrammabilissime composizioni.

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