di Benny Casadei Lucchi
Il Dovi che non può più vivere da Dovi, cioè un po' staccato da tutto, un po' uomo normale, un po' trasparente, un po' color dell'«Asfalto» come da titolo del suo libro, bello e sincero, in uscita in questi giorni, è un Dovi che a Le Mans va in testa con autorità ed eleganza e un attimo dopo finisce a terra per colpa di «un errore che non è da Dovi» dirà e si dirà. È un Dovi che, analitico e attento com'è, a due settimane dal Mugello, dove l'anno scorso iniziò la sua meravigliosa cavalcata quasi mondiale, ha sicuramente colto e farà tesoro dei messaggi nascosti fra le pieghe di due Gran premi dal destino avverso. Perché a Jerez, quindici giorni fa, era stata la cattiva sorte a inscenare la carambola fratricida a podio ormai in pugno e nel mezzo però di giorni tesi per un rinnovo che non arrivava; ieri, invece, non è stata la dea bendata del motomondo a infierire, ma un «errore che non è da Dovi». Segno che, forse, ora che il contratto è stato firmato, ora che l'anomalo eccesso di attenzione s'assopirà, ora che la vetta del mondiale è lontana, ora è tornato il momento per essere di nuovo e completamente se stesso. Normale, trasparente, color dell'asfalto, soprattutto vincente.
Tanto più che siamo nel mezzo di un anno di grazia motociclistica, e l'Italia che tifa e impenna non deve concentrarsi solo su di lui e può distribuire passione e pressione su tutti i campionati. A Le Mans, Pecco Bagnaia in sella alla Moto2 del VR46 Sky team di Valentino Rossi ha centrato la terza vittoria e allungato in vetta a un campionato dominato dai piloti italiani. Le altre due vittorie portano la firma di Pasini e Baldassarri.
E in Moto3 le delusioni francesi, con Di Giannantoio 1° e poi penalizzato, non hanno impedito a Bezzecchi, nonostante il ko, di restare leader del mondiale. Per cui c'è spazio per sognare. E pazientare. Che Dovi torni Dovi.
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