nostro inviato a Herning
La vera notizia non è che Cavendish vinca una volata, perché quella ormai è una regola matematica, ma che il campione del mondo vinca la prima volata del Giro. Anche questo suo tabù, la prima indigesta, viene abbattuto in un pomeriggio ventoso di Danimarca, tra pale eoliche a tutta e corridori pure. Dev'essere che quest'aria gli risulta balsamica, come dimostra già la vittoria mondiale di otto mesi fa. Cannonball batte tutti con una facilità avvilente. Di fatto è un arrivo per distacco. E c'era pure qualcuno in Giro che lo dava per nervoso, ingrassato, svogliato. Alla faccia dello svogliato. Vinta la prima, sempre così ostile, adesso c'è il fondato rischio che davvero centri l'obiettivo personale, cioè vincere tutte e sei le tappe riservate ai velocisti. L'idea lo intriga, lo dimostra persino con uno dei rari sorrisi concessi al mondo: «Sono molto molto contento. Tappa dura e nervosa, non è stato facile. Ci tenevo a vincere qui con la maglia iridata. Io ho vissuto a lungo in Toscana, per me il Giro resta molto speciale. Lo dico sempre: il Tour è lavoro, il Giro è cuore».
Dietro di lui, gente strabattuta e gente tumefatta: l'ultima curva a novanta gradi, cinquecento metri prima del traguardo, manda sull'asfalto la solita catasta di carbonio e scheletri umani, per fortuna senza conseguenze (ma metterci quattro belle palle di fieno, come usava una volta, proprio no?). E' lo schema fisso delle prime tappe: vogliono tutti stare davanti, vogliono tutti vincere. A otto chilometri dal traguardo ci lascia la zampa anche la giovanissima maglia rosa Taylor Phinney, il bimbo prodigio americano di nascita, veneto di adozione, ora toscano di residenza. Il suo fisico da cronoman (1,97 d'altezza), qualche compagno e qualche buona scia d'ammiraglia gli permettono di toccare velocità stratosferiche come nel prologo, giuste giuste per rientrare prima della fine e salvare l'amata maglia. Sul traguardo, mamma Connie - olimpionica a Los Angeles 84 - libera subito un po' di sano mammismo italiano: «È' cadutou, quanta paurai. Ma per fortunai non aveva malei. E' propriou bellou con la maglia rousa. Per me è comei un sogniou». Il suo pupo irresistibile le manda baci dal palco, confessando però tanta strizza: «Ho fatto più fatica che nel prologo. Quando mi sono rialzato e ho cercato di rimettere su la catena, cercavo di stare calmo. Ma dentro la testa avevo molta paura. Meno male, questa maglia è troppo importante, non voglio perderla così…».
E' proprio un bravo figlio. E' proprio un grande predestinato. Ha un solo difetto: nonostante la sua educazione veneta, non è italiano. E dire che ci farebbe comodissimo. Siamo alla ricerca anche noi di un baby prodigio: attualmente il solo nome sulla lista è quello di Ulissi, però ancora tutto da conoscere. Mamme d'Italia, un po' di concentrazione: vediamo di fare un buon lavoro. Guardando in cima al palco del Giro l'accoppiata Phinney-Cavendish, un americano e un inglese svezzati in Italia, la malinconia è tanta.
Adesso però sospendiamo le amenità sportive perché un vero Diario del Giro non può trascurare l'incredibile e triste storia maturata dietro le quinte. Come tutti più o meno sanno, quest'oggi il Giro si fa l'ultimo giro in Danimarca, prima del ritorno in Italia. Tappa con partenza e arrivo nella cittadina di Horsens, operazione fortemente voluta dal sindaco locale, il signor Jan Trojborg, 56enne, già parlamentare. Quest'uomo innamorato della bicicletta - difficile qui trovarne uno indifferente, per la verità -, questo sindaco orgoglioso del Giro sulle sue strade, il Giro non lo vedrà. Morto alla vigilia dell'evento tanto atteso. E morto nel modo più strano, per qualcuno più beffardo, per lui forse più dolce: pedalando in bicicletta, assieme a tanti concittadini, nella scampagnata per famiglie organizzata in preparazione al Giro. Anche questo sindaco è vittima di infarto sportivo, come ormai va definito la spietato flagello che sta mietendo vittime in tutta Europa, anche se non è per niente nuovo e per niente strano. La giornata di oggi, terza tappa, era già listata a lutto da tempo, perché ricorderà la terza dell'anno scorso, quando in una discesa ligure morì il povero Weylandt.
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