Il trionfo del fenomeno imperfetto non tragga in errore. Sarà un mondiale terribile. In qualifica e gara. Un campionato che si giocherà, vincerà, perderà fra sviluppi tecnici, strategie e bottoni magici in qualifica. Soprattutto quest'ultimi. Se la Ferrari, intesa come uomini, squadra, famiglia e chiesa riuscirà a pigiare meglio il proprio bottone o a non far pigiare troppo quello dei rivali, allora non sarà sempre costretta a inseguire in gara e potrà per davvero sperare di aggiungere quella lettera che manca al nome scelto da Vettel per la SF71H. E Loria diventerà Gloria. Intanto, c'è un mare di incognite, Gran premi e scogli da affrontare e schivare per far rotta verso il titolo, evitando però che questo successo, come quello dell'anno scorso, da trionfo si trasformi in inganno. A cominciare dall'incognita Sebastiano. Può sembrare ingrato sottolinearlo dopo una vittoria ma è lui il punto interrogativo più importante, lui croce e delizia, lui gioia e dolore del popolo ferrarista. Vogliamo davvero far finta di credere che l'arrivo indiavolato in pitlane di Vettel sia stato la chiave che a metà Gp l'ha issato davanti a Lewis? È stato anche quello. Però non per questo va osannato. Non possiamo infatti dimenticare che nella prima metà di gara, Seb era finito vittima del lato oscuro della propria forza, quella forma di depressione agonistica che quando non tutto gira come vorrebbe lo spinge ad autodeclassarsi a semplice pilotino e altre lo trasforma in bulletto del Circus pronto ad attaccare briga e a gettare punti e prendersi penalità. Ieri, pronti e via aveva indossato i panni del pilotino senza grandi aspettative, un Alonso con motore Honda dello scorso anno, quasi rassegnato. Brutta immagine, pessima sensazione per tutti proprio mentre Raikkonen, che pareva aver ingurgitato un viagra motoristico, faceva ben altro e pareva un Verstappen adolescente capace di passare subito Hamilton. Se solo Sebastiano fosse stato più tonico nella prima parte, anche fiondarsi a mille all'ora in pit lane come ha poi fatto non sarebbe stato necessario, perché alla sosta avrebbe comunque scavalcato Hamilton grazie al regalo della dea motoristica sotto forma della Haas di Grosjean ferma a lato pista e grazie alla splendida strategia del muretto Ferrari. Se non altro, a Seb va dato atto di due cose. La prima: dalla ripartenza al traguardo ha tenuto dietro magistralmente Lewis, senza commettere errori e con freddezza da quattro volte campione del mondo. La seconda: ha subito ammesso di essere stato preda di un momento no. «Speravo di partire meglio e poi ho perso contatto» sono parole oneste che non tutti nel suo mondo hanno la forza di ammettere. Per la verità, Vettel è stato due volte onesto perché ha parlato anche di fortuna «e sì, ne abbiamo avuta e ce la siamo presa...».
E ne servirà altra. Perché se è vero che nel 2007 Raikkonen vinse in Australia al debutto e poi centrò il mondiale, è vero anche che Vettel proprio lo scorso anno trionfò a Melbourne (Kimi fu quarto e non terzo come ieri) ma poi sappiamo tutti com'è andato a finire l'ultimo campionato. Servirà fortuna soprattutto perché di domenica la Mercedes ha dimostrato in pista di essere un pelo più veloce della Rossa e perché di sabato ha dato prova in qualifica di avere ancora il solito barbatrucco a disposizione sotto forma di bottone magico. Che poi sia bottone o levetta o chissà quale altra diavoleria, sempre di qualcosa che agisce sulle benzine si tratta. Per cui a Maranello dovranno lavorare ancora più duramente per pigiare bene come i tedeschi il bottone o per impedire loro di farlo così platealmente. Senza Grosjean, senza virtual safety car, senza l'errore di valutazione del box tedesco («ci ha tradito il software nella valutazione del distacco»), senza Bottas mai in gara causa l'uscita di sabato non sarebbe andata così.
Per cui ben ha fatto Arrivabene a gioire poco e dire «siamo solo a inizio stagione» e ben ha fatto patron Marchionne a regalare il giusto plauso. «Non poteva esserci un inizio migliore, complimenti...» ha detto. Ma poi ha aggiunto: «Sarebbe sbagliato fare proclami».
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