Segnali azzurri

L'Italia, criticata e tesa come nel mondiale del 1982, ritrova Berlino, stadio del titolo del 2006

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L'Italia sbarca a Berlino. E basta già questo per sentirsi meglio. Si torna dove diciotto anni fa gli azzurri alzarono la Coppa del mondo. Stessa città, stesso stadio. Per il resto è tutta un'altra storia. Allora una finale appunto mondiale, oggi solo un ottavo continentale. La Nazionale di Lippi esibiva l'ultima generazione di campioni: quella di Buffon e Cannavaro, Pirlo e De Rossi, Del Piero e Totti. Adesso siamo in cerca di un futuro in campo, mentre facciamo scuola in panchina con quattro tecnici agli ottavi: oltre a Spalletti, Calzona con la Slovacchia, Montella ct della Turchia e Tedesco nonostante Lukaku e il Belgio crepuscolare.

Quella del 2006 fu una cavalcata dal crescendo travolgente. Adesso abbiamo la consapevolezza che lo stellone ci ha accompagnato in una prima fase faticosa. Un inizio che assomiglia più a un'altra spedizione poi rivelatasi trionfale. Quella del 1982, quella che avrebbe potuto avere come capolinea Vigo. Veleni allora, veleni oggi. Dal catastrofismo al pessimismo. Allora il silenzio stampa, in questi giorni la calma dopo la tempesta mediatica di Spalletti. In quel Mundial tre pareggi presentarono Bearzot come vittima sacrificale ad Argentina e Brasile, poi sappiamo com'è andata. Adesso invece l'Europa che fa paura è tutta dall'altra parte. Spagna, Germania, Portogallo e Francia in rigoroso ordine di apprezzamento critico, sono all'opposto nel tabellone. L'Italia può incrociare la solita Inghilterra autolesionista ai quarti. Però Bellingham, Kane, Foden è tutta gente che può vincere da sola le partite. Anche se chi non ha paura di chiedere troppo alla dea bendata aspetta regali da Calzona che con la sua Slovacchia dovrà vedersela proprio con gli inglesi. A quel punto avremmo un debito incalcolabile da pagare alla fortuna. E se Spalletti dovesse spingersi a un passo dal ritorno a Berlino potrebbe incrociare l'Olanda che è passata solamente per terza.

Ragionamenti che si può permettere solamente una squadra che ha convinto nel girone eliminatorio. Non è il caso dell'Italia. Una parata con il fianco di Donnarumma in pieno recupero con l'Albania ha blindato tre punti fondamentali. Un gol al minuto 98 di Zaccagni ci ha trascinato fuori dall'inferno e fatto ritrovare in paradiso quando tutto sembrava perduto. E lo sarebbe stato davvero perché nel rompicapo delle migliori terze, la squadra di Spalletti sarebbe stata eliminata per differenza reti dalla Slovenia. Il tutto dopo due giorni di attesa nella foresta di Iserlohn. Buongiorno ieri ha ammesso che «siamo nella parte più facile del tabellone». Ma non sarà una passeggiata. Già domani a Berlino contro la Svizzera miglior espressione di quella classe media europea che ragiona da grande. Troppi giocatori azzurri hanno dato troppo poco. Così anche i vicini di casa, quelli che rispettano i limiti di velocità fino alla dogana e poi sfrecciano sulle nostre strade, potrebbero rivelarsi un ostacolo insormontabile. Si dice «puntuali come un orologio svizzero», noi finora all'Europeo con i secondi ci abbiamo giocato. Sempre in extremis, ma mai fuori tempo massimo.

Tre indizi fanno una prova: la parata di Donnarumma, il tiro a giro di Zaccagni e il tabellone «creato» negli ultimi giri di lancette, vedi il gol del tedesco Fullkrug alla Svizzera. Non è solo questione di fortuna. Ma anche di cuore. Quello di chi non molla mai.

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