Nel 1989 l'Italvolley conquistava il suo primo Europeo. Al cielo di Stoccolma la coppa la alzava Andrea Lucchetta, capitano di un'Italia destinata a scrivere pagine di storia. L'hanno chiamata la generazione di fenomeni ma a Lucky questo appellativo non è mai piaciuto.
Partiamo dalla fine: Giannelli con la coppa, come Lucchetta nel 1989.
«Trentadue anni fa alzavo il trofeo insieme a De Giorgi. Domenica lui era al fianco di Giannelli durante la premiazione, mentre io raccontavo da bordocampo. Una triangolazione che mi ha riempito d'orgoglio, ripensando al significato di questi due successi».
Quell'Europeo fu il preludio al trionfo Mondiale.
«La vittoria ci permise di rompere il ghiaccio, cominciando un ciclo di vittorie straordinario. È significativo come questi ragazzi incarnino lo spirito di quella squadra. Ho sempre sottolineato la filosofia delle S: spavalderia e sfrontatezza ce l'avevamo già, De Giorgi ha aggiunto quella dell'essere sbarazzini».
A proposito di sfrontatezza: nel momento più delicato, ci ha pensato un ragazzo che gioca in A2.
«Sono due anni che Romanò fa numeri mostruosi a Bergamo, ma nessuno lo aveva considerato. Ferdinando gli ha dato un'opportunità, mettendolo nelle condizioni ideali per esprimersi».
Italia che ha un nuovo leader: Simone Giannelli.
«Uno dei grandi meriti di De Giorgi è stato proprio quello di liberare Simone. Sarà lui il faro, il fenomeno di questa nazionale. Mi è piaciuto anche il modo in cui ha sottolineato il senso di appartenenza per la maglia azzurra. Con questi ragazzi siamo in buone mani».
Ora c'è un problema: che si fa coi veterani?
«Penso che questo sia punto di non ritorno a livello generazionale, una presa di coscienza importante. Il fenomeno fa la differenza, ma alla fine dei conti è grazie a una crescita collettiva che si vincono i trofei».
E se al Mondiale non arrivasse una medaglia?
«Un Europeo è molto diverso da un'Olimpiade e un Mondiale. Per questo sarebbe un errore dimenticare e non imparare dagli errori. Molto dipenderà da quel mondo che, trent'anni fa, ha creato la narrativa della generazione di fenomeni. Un appellativo che non ho mai amato, e che ho cercato di smantellare dicendo che eravamo una generazione di minatori: decisi a minare alle radici lo stereotipo del pallavolista italiano che non può giocare i palloni importanti. Ma questo è un gruppo sano, capace di non farsi influenzare dalle opinioni altrui».
Non sediamoci sugli allori, però.
«La Federazione ha sempre gestito bene i ricambi generazionali.
Merito anche del lavoro del Club Italia, che soprattutto al femminile ha saputo plasmare profili come Egonu, Orro, Chirichella e Malinov. Tutto nasce dalla continuità della gestione. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti».
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