Nel Giro dei comprimari va in rosa anche un canadese

Nel Giro dei comprimari va in rosa anche un canadese

nostro inviato a Rocca di Cambio

Il Giro col braccino concede giusto il minimo, facendosi molto pregare. A Rocca di Cambio, presunto e sedicente arrivo in salita, l'immagine migliore è quella di Paolo Tiralongo, siciliano di nascita, bergamasco di adozione, gregario di professione, per l'occasione plastica e drammatica scultura sul selciato. E' lì steso senza fiato, spolmonato ed esanime, però pienamente in pace con se stesso: l'anno scorso fu l'ultimo vincitore italiano al Giro, traguardo di Macugnaga, però grazie al pacco dono del suo amico Contador, stavolta è il primo del Giro 2012, esclusivamente per meriti propri, senza dover dire grazie a nessuno. E i meriti sono enormi: con rimonta mozzafiato, gli riesce di battere sul traguardo quel Michele Scarponi designato tra i superfavoriti della classifica, finalmente in servizio permanente effettivo. «Uno sforzo immenso - racconta con il primo fiato di ritorno il gregario sprintoso - ma sono felice. Ci tenevo. Adesso però torno a servire il mio capitano Kreuziger, presto ne avrà bisogno».
Può prendersi tutto il tempo, Tiralongo. Il suo servizio non servirà così presto. Il Giro col braccino, come dimostra Rocca di Cambio, e come dimostrerà anche oggi Lago Laceno, concede pochissimo alla platea: giusto il minimo, facendosi pregare. La salite annunciate sono noccioline per rompere l'appetito, a livello alta classifica. Casualmente, in questa tappa d'Abruzzo, i big si ritrovano tutti a sprintare nell'ultimo chilometro: emerge Scarponi (che però perde da Tiralongo), gli altri sono accatastati in pochi metri. Il vero risultato lo centra Hesjedal, ennesima maglia rosa nuova di questa prima settimana. Sembra una barzelletta: c'è un americano, c'è un lituano, c'è un italiano, adesso c'è pure un canadese (prima volta nella storia). La speranza è che alla fine anche questa barzelleta finisca a Milano con l'italiano più furbo di tutti gli altri. Ma attualmente barzelletta resta. Basta vedere la classifica generale. Dopo una settimana, sembra quella di una Tirreno-Adriatico (con tutto il rispetto). Il motivo? C'è da annoiarsi a ripeterlo: il Giro col braccino concede poco, facendosi pregare, e tutto nell'ultima settimana. Fino ad allora, questa confusione e questo anonimato, ma soprattutto questa noia generale. Tu chiamale, se vuoi, emozioniiiiiii.
Pretende di chiamarle così il direttore di corsa Mauro Vegni, che addirittura va sul palco del "Processo" per cantarle al pubblico distratto, svogliato e inappetente. «Abbiamo dato la risposta a chi ci critica, considerando questo Giro "light". Abbiamo tappe selettive e spettacolari. C'è stata anche la cronometro a squadre difficile da interpretare (???, n.d.r.)».
Sentendo l'anatema, viene da pensare che Vegni stia girando l'Italia su strade alternative. Quella che lui va sul palco a decantare come tappissima così viene liquidata da Scarponi: «Non conta nulla, non è successo nulla». I suoi avversari diretti, più o meno dello stesso tenore: salita pedalabile, non è questo il terreno giusto per attacchi, inutile sprecare energie, bisogna aspettare gli ultimi giorni.
Vegni e il suo minculpop farebbero bene a mettersi il cuore in pace: sarà un'interminabile Quaresima fino all'ultima settimana. Ma non per puro caso. Perché così hanno scelto loro. Un Giro di seconda divisione per comprimari, tutti in guerra per sfilarsi qualche tappa e qualche giornata in rosa (a loro non pare vero di essere così in prima fila), e sullo sfondo il Giro vero, rinviato per impraticabilità del campo a fine maggio.
Sono magnifici: finanziano studi di marketing per posizionare il prodotto, per rilanciarlo sul piano internazionale, marcandone l'identità rispetto al Tour, arrivano persino a coniare lo slogan del secolo ("La corsa più dura del mondo nel Paese più bello del Mondo"), poi vengono qui e lanciano il Giro col braccino. Geniali.

Come risultato, becchiamoci questa cosa che imita smaccatamente il Tour (due settimane a tagliarsi le vene per la noia, poi quattro tappe decisive). Se non fossimo certi d'averlo fabbricato noi, sembrerebbe un Tour fatto dai cinesi.

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