Servirà attendere 35 giorni perché venga ricambiata la cortesia. Perché di cortesia si tratta, quando si riceve un ospite, anche quando sportivamente parlando la partita è tutto fuorché amichevole. Ma la Dacia Arena di Udine si farà trovare pronta alla partita di ritorno di Nations League tra Italia e Israele, nonostante il Comune abbia deciso di non accogliere la richiesta di patrocinio arrivata dal presidente della Figc, «ritenendo che la scelta di patrocinare la partita sarebbe stata divisiva, essendo Israele uno stato in guerra». Patrocinio che, in tutta risposta, ha dato Regione Friuli Venezia Giulia, per volontà del presidente Massimiliano Fedriga.
Ubi maior, presidente. Per un tema così importante, serviva una scelta più alta?
«Credo solo sia stata fatta una scelta politica del Comune, molto chiara. Come molto chiara è stata quella di Regione».
In termini pratici, senza patrocinio nulla sarebbe cambiato. Perché questa scelta quindi?
«Sì, in termini pratici non sarebbe cambiato niente. Ma è altrettanto vero che non si è mai visto che un territorio neghi la richiesta alla propria Nazionale».
La presa di posizione è stata netta, non solo per la contrapposizione. Avete avuto riscontri positivi, dentro o fuori i confini regionali?
«Non ho mai guardato all'interesse di consenso o di dissenso. Piuttosto penso che una democrazia come quella italiana non possa permettersi di discriminare una Nazionale come quella israeliana. Non si deve tornare ai periodi bui in cui chi era di appartenenza o credo ebraico veniva trattato in modo diverso. Lo sport è confronto, ce lo raccontano anche le recenti Olimpiadi: è manifestazione di dialogo».
C'è un precedente internazionale importante, come quello del Belgio che per timori di sicurezza interna ha giocato la propria sfida casalinga contro Israele in Ungheria...
«Si rischiano gravi precedenti, si rischia di alimentare anche nella percezione delle persone dei comportamenti preoccupanti. Leggo sui social che i giovani palestinesi di Roma sul loro profilo promuovono, per il 5 ottobre, un evento in corrispondenza del 7 ottobre, indicandola come data della rivoluzione. Stiamo parlando di un atto terroristico in cui sono stati uccisi bambini e sgozzati civili, è gravissimo».
Quando il Comune di Udine ha negato il patrocinio ha detto di non volere «mettere la testa sotto la sabbia rispetto ai crimini commessi sia da Hamas che Israele». Scelta pilatesca?
«Intanto è molto grave mettere sotto lo stesso piano un'associazione terroristica e uno Stato democratico. È totalmente diverso e fortunatamente diverso: penso sia un ragionamento sbagliato. Ognuno può fare considerazioni politiche diverse, ma non si può equiparare uno Stato e il suo esercito a un'associazione terroristica».
«I politicanti miopi non lasciano in pace neanche lo sport, sebbene sia proprio lo sport che deve far avvicinare i popoli e limare i disaccordi tra i Paesi». La frase, di qualche anno fa, è di Putin.
«Lo sport, ma devo dire anche l'arte e le manifestazioni culturali, non devo essere gettate nell'agone politico ed essere utilizzate strumentalmente. Gli Stati democratici non possono non stare con Israele».
Proprio Udine ha vissuto sulla propria pelle quanto sia importante il buon senso applicato allo sport. Anno 1983, tifosi in piazza minacciando «O Zico o Austria» in risposta a ostracismi al suo arrivo.
«Il cittadino si rende conto che un evento legato allo sport non ha a che fare con eventi internazionali».
Quest'avvicinamento a Italia-Israele come si vive, in termini organizzativi e di gestione della sicurezza?
«La
gestione della sicurezza dipende dal Ministero. Sappiamo bene anche dalle Olimpiadi, e dico e ribadisco purtroppo, che con Israele ci sono metodi di controllo più accurati. È preoccupante che un atleta israeliano rischi di più».
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