Non ti innervosire Sascha, non più, non adesso. Non «sclerare» quando la glicemia sale e la tensione, la frustrazione, sono più difficili da controllare. L'impulso c'è, più volte, di spaccare tutto, di gettarla a terra e invece lasci oscillare la racchetta a un centimetro da terra, quasi con dolcezza, a svelenire la rabbia. È la tua partita nella partita, contro Jannik e contro i demoni che sfuriano nel sangue e arrivano fino alla testa. Una volta ti stavano più addosso, quando avevi vent'anni e prima di quel drammatico infortunio ai legamenti della caviglia in una semifinale del Roland Garros. Pochi sarebbero tornati campioni da quella carriera spezzata, ma tu sei stato sempre bravo a sfidare l'improbabile. Il diabete non è un alibi. È una patologia, nel tuo caso autoimmune, da tenere sotto controllo. Lo fai da quando hai quattro anni. Qualche medico diceva che con quegli zuccheri ballerini, sempre instabili, sarebbe stato difficile immaginarti in finale in uno Slam, come ieri sul campo Rod Lever agli Australian Open. Hai perso anche questa volta e hai pianto, di rammarico e delusione. Sinner ti ha visto e ti è venuto ad abbracciare, perché come ha detto dopo il grande circo del tennis alla fine è una specie di scuola in giro per il mondo. Gli avversari diventano compagni di classe, ci passi giorni e giorni insieme, li conosci, li stimi, qualcuno ti sta più simpatico, altri meno, ma non sono indifferenti. Quell'abbraccio non è pietas. È affetto.
Quando giochi ti capita di prendere la siringa parecchie volte, durante i cambi campo, seduto a un lato della rete. Ieri è successo due volte. La partita purtroppo per te è stata troppo veloce. «Jannik è troppo forte e nessuno come lui merita la vittoria». Lo dici con lo sguardo triste e un pizzico di dolcezza. La dose di insulina serve a stabilizzare la glicemia. Non solo perché durante le pause prendi carboidrati e zuccheri per trovare energia. È che sotto stress la glicemia sale e ti si annebbia la vista e perdi il controllo o, peggio, va troppo giù e lì si rischia il coma. È una partita a tennis con un'ombra di morte. È la tua vita.
Il diabete è un avversario che non sbaglia un colpo, prende le linee più piccole, quelle che spesso neppure vedi. Per batterlo bisogna essere metodici, perfezionisti, precisi e rispettare i tempi. È la malattia peggiore per chi si affida all'improvvisazione. All'inizio giocavi d'istinto e con troppa rabbia, anche nella vita. Una spettatrice, durante la premiazione, ti ha urlato: «Olya e Brenda, l'Australia crede a voi». Il riferimento è a due ex fidanzate che ti hanno accusato di non aver tenuto a bada la rabbia. Ti sei fatto in qualche modo perdonare. Non hai mai usato il diabete come un alibi.
È lotta con te stesso e ognuno in fondo combatte se stesso nascosto sotto il proprio male. Il diabete per esempio è scompenso e lasciarsi andare un po' al destino, l'attacco di panico è il prezzo di chi pretende di controllare. Malattie a specchio che si riflettono su un campo da tennis.
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