Seb-Kimi, prima fila rampante. È una Ferrari stile Mercedes

Vettel in pole: "Adesso la sento mia". Raikkonen deluso: "Volevo di più". Sarà battaglia fra compagni? Lewis nono

Seb-Kimi, prima fila rampante. È una Ferrari stile Mercedes

Per capire la bontà di una monoposto e la prestazione di un fuoriclasse in pole bisogna guardare a chi non è davanti a tutti, a chi la pole ha visto sfuggire via, a chi un fuoriclasse forse è stato ma non lo è più e però guida quella stessa macchina: Kimi Raikkonen. È lui, con la sua inaspettata costanza e la sua rabbia, e non Sebastiano in vetta alla lista dei tempi, a confermarci che questa Ferrari è nata bene, che può crescere, che si può credere alla pole centrata dalla Rossa nel deserto undici anni dopo quella di Felipe Massa. Kimi davanti a Seb in qualifica a Melbourne, Kimi che si è sentito penalizzato dalla fortunata strategia in salsa tedesca in Australia, Kimi il più veloce nelle libere 2 e 3 in Bahrein e nel Q1 e nel primo tentativo del Q3 vuol dire una sola cosa: che la SF71H si guida che è un piacere. Perché il finnico ieri secondo per un respiro a completare la prima fila ferrarista nel deserto di Sakhir (l'uno-due mancava dall'estate scorsa, Gp di Budapest) è l'unico pilota fra i partenti a vestire anche i panni di cartina tornasole della bontà del mezzo. Raikkonen è infatti da sempre un ottimo pilota, capace di diventare grande solo quando ha voglia e immenso solo quando la monoposto lo asseconda. Ecco. La Rossa 2018 lo sta assecondando e coccolando e lui... lui cerca di ricambiare. Vettel permettendo.

Ma ieri Sebastiano non lo ha permesso. Giro perfetto e «papapam krazie ragazzi!!!» ha detto più o meno mentre Raikkonen diceva altro. Tipo: «Ovvio che sia deluso, ero stato il più veloce e poi ho trovato un giro reso tutt'altro che perfetto dal traffico, però parto là davanti, però vedrò che cosa si potrà fare...». E però Maurizio Arrivabene e, giusto per non lasciare nulla di intentato, anche patron Sergio Marchionne farebbero meglio a far pervenire al loro dipendente missiva onde evitare partenze agguerrite tipo quella di Singapore 2017. Questo per dire che Kimi sembra tutt'altro che calato negli accomodanti panni di scudiero e francamente va capito: 39 anni, stagione d'addio, nessuna esigenza di rinnovi futuri, ultime chance, per di più conscio di avere fra le mani una Ferrari che si sta rivelando davvero competitiva (annullato il divario sul giro secco di 2 decimi riscontrato in Australia rispetto alle Mercedes), perché non dovrebbe in cuor suo sentirsi in lotta per il titolo? Anzi, nonostante tutti i suoi difetti passati e le recenti incostanze, viene quasi voglia di tifare per lui. Suvvia, perché non farlo? Che bella sarebbe l'impresa del pensionando che si gioca il titolo fino all'ultimo?

Sarà un caso ma quando Seb spiega che «in Australia sentivo ancora poco mia la Rossa in inserimento di curva ma il lavoro fatto si è rivelato giusto e ora mi sento a mio agio, posso spingere di più» racconta due cose. La prima: è felice per aver approfittato di un Hamilton apparso annebbiato e sfortunato (4° tempo, scatterà nono a causa dei 5 posti in meno di penalità per il cambio sostituito venerdì ma potrà contare su gomme più dure).

La seconda: è riuscito a mandare subito un messaggio chiaro al compagno e alla squadra. La vittoria australiana figlia della strategia del box non lo era stata abbastanza, meglio affrettarsi onde evitare che anche nel team a qualcuno non venga voglia di tifare per l'altro. Ma che bella storia sarebbe?

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