Sinner e Berrettini. Gli italiani sono anche così

Da Wimbledon una lezione al calcio. E ieri il bis di Musetti-Darderi

Sinner e Berrettini. Gli italiani sono anche così
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L'abbraccio, a fine partita, ha detto tutto: «Vai a prenderti il torneo, Jannik». Non è solo tennis, è un esempio. Sono momenti in cui lo sport insegna e fa capire a tutti come giocano gli italiani, soprattutto se si va oltre la solita apparenza.

I sorrisi prima, la rivalità feroce durante, appunto quell'abbraccio dopo: Sinner-Berrettini è stato un manifesto, sul Centrale di Wimbledon, nel tempio del tennis, davanti a gente che non si sarebbe mai stancata di essere lì. Non una partita di tennis, si diceva, ma una pubblicità del nostro vero Io, la somma di tutto quello che dovrebbe essere la normalità, fatta di lavoro, sacrificio, ambizioni, sfide, contrasti, anche voglia di ricchezza certo, tutto però da vivere con gentilezza. Cose spesso dimenticate, eppure d'altronde proprio Jannik lo ripete sempre: «Sono il numero uno del mondo, ma il successo non mi cambierà: felicità è la vita con la mia famiglia e i miei amici».

È la rivoluzione, lo stridore che si sente paragonando quanto c'è in giro in questa società social, che cozza con quanto visto pochi giorni fa da quegli italiani a cui abbiamo demandato da sempre l'orgoglio nazionale. Gente invece per cui l'onore è lo zero nei tiri in porta in una intera partita, è gambe molli e confusione in testa, è dare sempre la responsabilità a qualcuno per fare i conti solo con il prossimo contratto. È chiedere perdono senza mai sentirsi in colpa.

E invece noi siamo diversi, possiamo essere come Musetti e Darderi, che anche loro hanno spremuto fino all'ultima goccia di sudore nell'altro derby azzurro vinto da Lorenzo 6-4, 4-6, 6-7, 6-4, 6-4. Possiamo essere come Cobolli che si è ribellato con coraggio al destino cedendo al quinto set contro Tabilo (7-6(4) 7-6(4) 4-6 4-6 6-4). Ma soprattutto dobbiamo essere Jannik Sinner nel nostro piccolo, ma anche Matteo Berrettini, uscito sconfitto e amareggiato, ma che si è fermato fino all'ultimo autografo quando avrebbe voluto soltanto scappare: «Ho perso, ma mi sono divertito. Sono fiero di me, mi ricorderò di questo derby anche tra 20 anni».

Impossibile dimenticare, se davvero lo vogliamo.

Noi italiani possiamo essere così, possiamo lottare così, possiamo essere orgogliosi di quello che siamo e possiamo insegnare al mondo, perfino giocando a tennis: «So che rivedrò Matteo molto in alto, quando ci siamo salutati dopo l'ultimo colpo è stato un momento molto molto carino. Abbiamo iniziato col sorriso e finito col sorriso: siamo amici». Siamo italiani, per cui, Jannik: oggi c'è Kecmanovic, Campo Centrale, terzo match. Vai a prenderti il torneo.

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