Spalletti Luciano, da Certaldo, è un buon allenatore. Potrebbe essere un grande allenatore ma si complica sempre la vita, cercando nemici e vedendo fantasmi anche nel deserto del Gobi. A Roma disprezzava la stampa considerandola di censo inferiore, anche nella dichiarazione dei redditi. A Milano, dopo alcune sceneggiate d'avvio, ha scelto di molestare la propria squadra, colpevole, stando alle sue elucubrazioni, di essere priva di qualità, la stessa che, sempre secondo i pensieri e le parole del certaldese, apparterebbero al Napoli del suo sodale Sarri Maurizio. Ora delle due l'una: o l'Inter è una squadretta senza arte né parte, oppure l'allenatore non è riuscito, in mesi sette abbondanti, a darle un significato, una identità, oltre a farla crescere tecnicamente, tralascio l'aspetto tattico.
Di solito un capo che scarichi le responsabilità sui dipendenti dovrebbe essere invitato dal proprietario della ditta a svuotare i cassetti e a ritirare la liquidazione. I cinesi non lo faranno, ma sono rimasti seccati, così come i calciatori, dalle parole critiche del tecnico nei confronti del quale potrebbero essere presi dei provvedimenti disciplinari, assolutamente giusti e giustificabili.
Spalletti Luciano vive di rendita per un titolo vinto all'estero e per qualche scampagnata romana (già frequentata da alcuni suoi predecessori), per il resto è alla ricerca del tempo perduto anche se presumo che Marcel Proust non faccia parte delle sue letture. E' un peccato che l'Inter stia ancora cercando di crescere definitivamente, nonostante gli ultimi investimenti che, sembra, non abbiano soddisfatto lo stesso tecnico, abituato da sempre a gestire grandissimi calciatori. Sulla qualità dei calciatori dell'Inter sarebbe opportuno domandare all'allenatore se Sarri, a differenza sua, abbia ereditato un gruppo dai piedi raffinati, di tocco e di senso del gioco. Così non è, perché non risulta agli atti che Mario Rui o Hysaj, Albiol o Tonelli siano così superiori a D'Ambrosio o Gagliardini, Miranda o Borja Valero.
Ma Spalletti ha trovato il nemico, ha smascherato il fantasma, ha individuato i colpevoli: non lui e le sue paturnie dialettiche ma i calciatori e, nel passato recente, i dirigenti. Meglio sarebbe se quelle parole le avesse pronunciate dentro lo spogliatoio oppure davanti allo specchio, dove gli garba osservarsi per ribadire di essere il più bravo. O no?
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