Uno Stato di polizia

Pubblichiamo l’intervento del presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi durante il dibattito alla Camera per la fiducia sul decreto Bersani.

Signor Presidente, Signori Deputati,
la nostra opposizione a questo decreto non è certo una opposizione alle liberalizzazioni. Noi consideriamo il mercato, la concorrenza, la libertà economica elementi fondamentali per la crescita di una nazione.
Noi consideriamo l'eccessiva presenza pubblica nell'economia e l'eccesso di regolamentazione che lega le mani a chi vuole fare impresa, creare lavoro e produrre ricchezza, come negatività storiche del nostro Paese. Il nostro modello è quello di uno Stato che grava il meno possibile sulla gente, che chiede meno tasse, che pone meno vincoli. Oggi invece il Governo, blindandosi per la settima volta con la fiducia, espropria di fatto il Parlamento delle sue prerogative e gli impone di convertire l'ennesimo decreto. Un decreto che introduce nuove gabelle, che introduce per la prima volta inasprimenti fiscali retroattivi, che sostituisce la cultura delle garanzie con la cultura del sospetto e rischia di trasformare così il nostro Stato in uno Stato di polizia tributaria. Altro che liberalizzazioni!
La lezione di Vanoni
È un provvedimento con una sua precisa logica. Quella che da sempre appartiene alla cultura e alla tradizione dello statalismo di sinistra. Mi sono meravigliato che gli esponenti della Margherita, così impegnati con i loro colleghi della maggioranza a demolire tutto ciò che di buono ha fatto il nostro ministro Tremonti, hanno finito per dimenticare, loro che pure annoverano tra le loro file tanti democratici cristiani, che la filosofia che ispira le azioni di questo governo in materia fiscale è il perfetto contrario dell'impronta data al sistema fiscale italiano da un loro grande ministro delle Finanze, Ezio Vanoni.
La sua riforma fiscale, che introdusse nel Paese la denuncia dei redditi su cui il sistema fiscale è tuttora fondato, partiva dal principio che lo Stato doveva fidarsi del contribuente. L'idea di Vanoni era che anche nei suoi rapporti con il fisco il cittadino fosse tale, e non fosse un suddito. Il vice-ministro Visco è la negazione del ministro Vanoni, perché il suo principio fiscale è quello che Michel Foucault condensò nel famoso binomio: sorvegliare e punire.
Ciò che il viceministro vuole è il totale controllo del contribuente, a partire dai conti correnti, dalla lista dei clienti e dei fornitori, sino all'obbligo di effettuare i pagamenti sopra i 100 euro con assegno bancario o carta di credito. Il conto corrente diventa così lo strumento principe del controllo fiscale. In questa visione chi produce lavoro e ricchezza, un imprenditore, un artigiano, un commerciante, un professionista è un sospettato, è un evasore, è potenzialmente un malfattore, costretto a dar prova continua della sua innocenza.
Misure irresponsabili
La nostra visione è naturalmente l'opposto. Negli anni di governo abbiamo valorizzato al massimo il principio della leale collaborazione fra Stato e cittadino, che non è un'utopia: l'andamento del gettito tributario ha dimostrato e dimostra che questo metodo può funzionare e sta funzionando. Le misure studiate dal viceministro Visco comprimono invece gli spazi fondamentali di riservatezza e di libertà del singolo, come ha giustamente denunciato il Collegio del Garante per la Privacy. Ma anche questo autorevole richiamo è stato disatteso dal governo. Mi auguro che il Garante sappia e voglia rinnovare e rendere più forte il suo richiamo proprio a tutela dei cittadini.
Al diritto previsto dall'articolo 41 della nostra Carta costituzionale per il quale «l'iniziativa economica è libera» si sostituisce il potere preventivo e discrezionale dello Stato. S'instaura così il principio di controllabilità totale preventiva, la cosiddetta tracciabilità di ogni contribuente da parte del fisco. Lo Stato diventa una sorta di «Grande inquisitore», capace di schedare ogni transazione, ogni spesa anche minuta di un cittadino, i suoi stili di vita, i suoi consumi, le sue vacanze, le sue malattie, in sostanza tutto il suo comportamento economico. Si tratta di una schedatura invasiva e totale come mai si è visto sino ad ora in una democrazia liberale. Ci troviamo quindi di fronte a misure di cui i cittadini non hanno ancora piena percezione ma che scopriranno presto essere misure estreme sul piano dell'assoggettamento fiscale. Con l'aggravante che non c'è alcuna norma che garantisca contro l'uso improprio dei dati raccolti dall'amministrazione.
Signori del Governo, questo modo di operare è preoccupante e pericoloso. Il fattore ideologico e anzi il «furore ideologico» prevalgono sul senso di responsabilità. In più annunciare misure retroattive in campo fiscale non pone soltanto problemi di rango costituzionale e di moralità nel rapporto fra Stato e cittadino. Determina anche effetti pratici devastanti. Il fatto che siate stati costretti a fare marcia indietro sulle norme che riguardavano il settore immobiliare, non ha cancellato il danno che avete causato. Il mercato dei capitali e degli investimenti ha preso sul serio i vostri annunci e neppure le smentite, abborracciate e tardive, hanno potuto porre rimedio al danno che era stato già provocato.
Odio di classe
Solo dilettantismo? O ci troviamo di fronte alla creazione di un pericoloso precedente di tassazione retroattiva? (Anche per quanto riguarda le rendite finanziarie, la tassazione del ceto medio possessore di Bot e Cct, il vostro obiettivo non è cambiato. Lo avevate annunciato e poi ritrattato in campagna elettorale). Siamo di fronte a una sorta di vendetta sociale spacciata come un provvedimento di liberalizzazione economica, un provvedimento di cui la parte più rilevante è invece quella fiscale. Queste liberalizzazioni sono liberalizzazioni spurie destinate a coprire il principio del controllo fiscale a partire dal conto corrente e tendono a favorire le cooperative, le grandi aziende, i grandi gruppi professionali a svantaggio degli operatori minori.
Le vere liberalizzazioni, quelle che toccano i settori strategici, quelle che anche l'antitrust ha indicato come urgenti, non sono state neppure immaginate. Una politica seria di liberalizzazioni deve necessariamente rompere il monopolio sindacale, deve eliminare i privilegi delle cooperative, deve liberalizzare il mercato del lavoro e dei servizi, deve privatizzare le public utilities, deve promuovere l'imprenditorialità e l'attitudine al rischio, deve insomma agire a 360° su tutti i mercati e non può certo prescindere da un preventivo confronto con tutte le categorie interessate. A meno che voi non pensiate che alcune categorie non siano meritevoli non dico di essere consultate ma neppure di essere informate.
Le vere riforme
Sulle liberalizzazioni, quelle vere, e non su un decreto legge che blinda una maggioranza in decomposizione, varrebbe la pena di un confronto serio, ampio e approfondito. Perché oggi tutti gli italiani, a destra come a sinistra, si pongono la stessa semplice domanda: «Per quanto tempo si può andare avanti così?». Noi siamo convinti che vi sia la consapevolezza di questa situazione anche tra i protagonisti più responsabili del centro-sinistra. Ci auguriamo perciò che il filo di un dialogo sulle esigenze e sulle urgenze di questo Paese, possa essere ripreso. Gli appelli del Capo dello Stato, le sollecitazioni del mondo produttivo vanno in questa direzione. Purtroppo non sembrano queste le logiche che prevalgono sinora nella maggioranza.
Signor Presidente, Signori Deputati, per tutte le ragioni che ho esposto noi voteremo contro questo decreto che incrementa la oppressione burocratica e fiscale sui cittadini, mettendo a rischio la loro libertà civile ed economica.

Noi continueremo a svolgere con determinazione, in quest'aula, come anche al Senato, una opposizione ferma, ma al tempo stesso serena e propositiva in difesa non solo di quella metà del Paese che ci ha dato fiducia ma di tutti gli italiani che chiedono di essere tutelati da ogni eccesso fiscale e burocratico. Vi ringrazio
presidente di Forza Italia

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