Stop ai giustizialisti dell’arte

Lontano dall'Italia, mi giungono i rumori dell'improvvisa attenzione - dopo le preoccupazioni da me temporaneamente fugate sulla troppo crudele minaccia di distruzione del centro direzionale dell'Alfa Romeo, in prossimità di una resistente concessionaria (ironia della sorte) della Citroën - per il destino dell'istituto Marchiondi in via Noale, da molti anni in semiabbandono. Ho annunciato il mio prossimo sopralluogo ma conosco bene l'argomento grazie a una provvida relazione su questo importante esempio di architettura brutalista, dovuta all'architetto Vittoriano Viganò, di uno dei sovrintendenti migliori e più scrupolosi che ho mai incontrato: Elio Garzillo. Quali che siano le condizioni dell'imponente manufatto (e credo piuttosto precarie), possiamo però contare sul provvedimento di tutela o di garanzia di un presidio della sovrintendenza per impedire la cancellazione di un documento importante, come purtroppo non si è fatto in altri casi, come il garage di via Podgora e, prima dell'allarme di questi giorni, per lo stabilimento dell'Alfa Romeo.
La prudenza, da un lato, la garanzia della memoria, dall'altro, non dovrebbero mai essere trascurati da chi pensa alla città nuova, pur con tutto lo slancio e l'entusiasmo che sembrano caratterizzare questo momento a Milano. Appare singolare, per esempio, l'indifferenza con cui progettisti sensibili, con una vocazione «verticale», hanno affrontato un tema delicato come quello della «stecca» nel progetto Garibaldi Vittoria, singolare esempio di architettura «antropologica» per la funzione che ha svolto il pur modesto edificio oggi semidistrutto. Si contrappongono quindi due culture: quella garantista alla Garzillo e quella «giustizialista» di molti architetti di grido. Fino allo scandalo, contrabbandato come modello di moralità dallo stesso ministro per i Beni culturali, della pensilina di Isozaki agli Uffizi, chiaro esempio di prepotenza architettonica che a nessun privato sarebbe concessa e che lo Stato si consente il lusso di promuovere per soggezione alla grande firma internazionale cui, come nel caso dell'Ara Pacis di Richard Meyer, viene consentito di irrompere, senza regole e misure, e di alterare il tessuto del centro storico. Nel difendere questi orrori Rutelli si è fatto persino minaccioso: ma era forse inevitabile che chi aveva imposto il mostro a Roma, non lo volesse far mancare a Firenze. Così da legare il proprio nome, coerentemente, alle due peggiori testimonianze di architettura di regime del nostro tempo.
Di fronte a questi esempi appare perciò sommamente ammirevole, e persino sorprendente, che un sovrintendente, invece di allinearsi al piacere di distruggere e di sfigurare, mostri sensibilità e attenzione per un episodio minore, non privo di significato simbolico. È accaduto a Milano, a garanzia insieme della storia industriale della città e della scenografia spontanea offerta al cinema neorealista. È giusto cancellare ciò che si vede in una pellicola di Visconti o di Antonioni? Con l'Alfa Romeo abbiamo posto anche questo problema, dando un argomento in più alti difensori della memoria, e non certo per ostacolare lo sviluppo della città con la sua nuova edilizia e i nuovi quartieri.
Non posso negare di essere stato lusingato, in questo senso, senza averlo sollecitato, se non con un astratto quesito sul topos dell'architettura industriale, dal rapido ed efficace intervento del Sovrintendente Artioli che ha verificato l'interesse dell'edificio in un'area totalmente priva di memorie storiche e non certo nobilitata dall'intervento di cosmesi dell'architetto Cino Zucchi. Il corpo di fabbrica del centro direzionale dell'Alfa Romeo ha invece una tipologia semplice e stilisticamente ben definita, come nessuna delle architetture circostanti nel raggio di un chilometro. Certo questo interessa poco agli architetti e all'assessore Masseroli, ma riguarda la storia della città e la civiltà di un Paese che non vuole cancellare la memoria. O questi valori valgono soltanto per la gastronomia? La stratificazione dell'architettura è meno significativa dello slow food? Letizia Moratti non vorrà ammirare un Carlo Petrini soltanto per il cibo? Il sovrintendente Artioli ha semplicemente dato significato al suo ruolo anche rispettando, senza retorica, la grande tradizione cinematografica italiana che, nel film Rocco e i suoi fratelli, aveva riservato alcune immagini, ormai storiche, alla palazzina dell'Alfa Romeo. E fin qui l'intervento della sovrintendenza è colto e, probabilmente, efficace, non sul piano del feticismo ma del richiamo e della coerenza culturale.
Diversa la questione per ciò che riguarda i Bagni misteriosi di de Chirico. Certamente lodevole che la Sovrintendenza e persino l'istituto centrale del restauro abbiano fatto decine di riunioni per risolvere la questione e restituire la fontana, nella sua integrità, alla città. Ma si tratta di un esercizio accademico, in considerazione del nome altisonante dell'artista. Dal punto di vista giuridico, infatti, per la mia esperienza nell'amministrazione dei beni culturali e per la mia, pur breve, permanenza ai vertici della stessa, la sovrintendenza non ha alcuna competenza sulla manutenzione e sul restauro di un'opera d'arte contemporanea che abbia meno di cinquant'anni, come nel caso di quest'opera di de Chirico del 1973. Per restituirla al decoro, come è accaduto con la scultura sfregiata di Botero, non occorre alcun parere del sovrintendente che potrà cordialmente suggerire alcune osservazioni ma non prescrivere o autorizzare ciò che richiede soltanto buona volontà e impegno. Aggiungo che de Chirico ha ideato l'opera ma chi l'ha realizzata materialmente è Giulio Macchi, vivente e sapiente, il quale, sapendo come l'ha fatta, saprà anche ripristinare l'opera senza che una macchinosa burocrazia rallenti, come è accaduto fin qui, un doveroso impegno di restituzione e di decoro alla città. Nel frattempo è stato ritrovato, presso la fondazione de Chirico di Roma un frammento del monumento rubato anni fa e ancora dotato della policromia originale.


Questo consentirà senza troppe preoccupazioni e indagini fintamente «scientifiche» di ripristinare perfettamente l'invenzione di de Chirico. Una grande idea realizzata in modo semplice, da restaurare altrettanto semplicemente.
Vittorio Sgarbi

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