Il lancio, il paracadute impigliato e la cattura: la strana notte di un parà durante il D-Day

La notte dello sbarco in Normandia, un paracadutista americano divenuto celebrità ebbe salva la vita per un puro colpo di fortuna.

Il lancio, il paracadute impigliato e la cattura: la strana notte di un parà durante il D-Day

La notte del 6 giugno di ottanta anni fa, il cielo stellato di una notte fresca come lo sono le notti sui mari del nord, si offuscava, di tanto in tanto, da nuvole dense, segno di un tempo incerto dopo una passata tempesta. Le eliche dei C-47 Dakota, bimotori da trasporto tattico, frullavano il vento che sferzava fuori dall'unico portellone aperto di fronte al quale una ventina di uomini ben armati attendo l'ordine con un mano ben salda alla fune di vincolo ben agganciata. Attendevano la luce verde. Il segnale che la drop zone, in gergo DZ, per noi più semplicemente zona di lancio, era stata raggiunta.

L'ufficiale più alto in grado, sempre il primo o l'ultimo a lanciarsi dall'aereo per dare l'esempio o assicurarsi che tutto vada come deve, può scrutare le strisce bianche e nere che sono state pitturate su tutti gli aerei alleati che adesso staranno rullando sulle pista di mezza Inghilterra. Le Invasion Stripes. Appena raggiunta la costa della Normandia, la contraerea tedesca che era stata schierata per tutta la lunghezza del Vallo Atlantico, l'imponente linea difensiva commissionata da Hitler per difendere la "Fortezza Europa", avrebbe di li a poco iniziato a sparare lungo raffiche di traccianti, mentre potenti fari tagliavano il cielo illuminandolo in cerca dei bombardieri che sembravano "più attivi" del solito. E avrebbero indicato ai cannoni della FlaK dove concentrare il tiro. Lo spettacolo è unico, perché centinaia di aerei sono in formazione e riempiono il cielo. Poi la "luce verde".

Migliaia di paracadute si aprono dopo un saltano nel buio. Per molti di loro il viaggio sarà breve, una manciata di secondi e gli stivaletti toccheranno terra, l’erba fresca, profumata d'estate. Per altri non ci sarà scampo. Verranno falciati ancora prima di toccare terra. Me uno di loro avrà una sorte singolare, per certi versi buffa.

I primi a sbarcare in Normandia

I paracadutisti americani sono stati i primi soldati alleati a mettere piede in Normandia. I pathfinder della 101ª Divisione Airborne, le Screeaming Eagle, e quelli dell'82ª Divisione Airborne All American, un nome scelto dal momento che i membri della divisione provenivano da tutti e 48 gli Stati che all'epoca formavano gli Stati Uniti. I primi hanno un aquila gridante sulla mostrina alla sinistra. I secondi, due grosse A bianche su quadrato di stoffa rossa. È a questi ultimi che apparteneva il John Marvin Steele, dell’Illinois, inquadrato nella 82ª divisione, compagnia F, 505° reggimento aviotrasportato.

Nella notte tra il 5 e il 6 giugno 1944, quando le truppe aviotrasportate statunitensi forti di 15mila uomini si lanciarono sui rispettivi settori, alcuni, per un errore di intersezione e identificazione della zona, finirono nel bel mezzo di zone paludose, boschi, e nel bel mezzo della cittadina di Sainte-Mère-Eglise.

John Steele colpito durante la discesa con il paracadute e ferito a un piede dall'antiaerea, non potè controllare il suo paracadute impigliandosi nella piccola statua sul bordo del campanile di una chiesa, intorno alle 4:00 del mattino. Tutto intorno a lui, il combattimento infuriava, e molti dei suoi compagni cadevano ancora prima di toccare terra. Il tentativo di "liberarsi" dalle corde del paracadute con il coltello che i Parà erano soliti portare stretto agli scarponi, viene ripreso nella famosa pellicola "Il giorno più lungo". Il tentativo non ebbe successo, e per evitare di farsi uccidere mentre se ne stava appeso, incapace di difendersi, Steele decise di fingersi morto.

Verrà catturato all'alba da due soldati tedeschi che secondo le cronache rispondevano al nome di Rudolf May e Rudi Escher. Dopo aver ricevuto le cure necessarie, Steele fuggirà pochi giorni dopo per riunirsi alla sua divisione e conquistare la cittadina. Trasferito in Inghilterra per le cure necessarie, tornerà in sul campo prendendo parte all'Operazione Market Garden nei Paesi Bassi, e dopo le Ardenne e attraverserà finalmente il fiume Elbe. Sopravvisse alla guerra e face ritorno in patria del 1945. Con una pistola Luger come trofeo e una storia da raccontare ai nipoti e a un giornalista che lo renderà famoso.

Alla sua memoria

Il 6 giugno 1944 le forze alleate che presero parte all'Operazione Overlord, una delle imponenti operazioni militari della storia, condussero nel D-Day ben 160.000 soldati, tra americani, inglesi, canadesi e francesi liberi, sulle coste della Normandia. In cinque settori principali che andavano dall'estuario dell'Orne e Ouistreham all'entroterra della penisola del Cotentin. La maggior parte di loro verrà sbarcata sulle spiagge. Le unità aviotrasportate furono invece paracadutate e trasportate su alianti "dietro le linee" per conquistare obiettivi strategici come ponti e difese. Il successo del D-Day, passato alla storia come il giorno più lungo, consentirà agli Alleati di conquistare in rapida successione Carentan, Cherbourg e Le Mans, per liberare Parigi il 25 agosto 1944. Solo nel D-Day diecimila di loro persero la vita.

John Steele è ritornato molte volte in Sainte-Mère-Eglise, la prima volta durante la ventesima commemorazione dello sbarco. Trovò un albergo e bar dedicati a lui: "Fondamentalmente lo trattavano come un re. Ha firmato autografi per diverse ore", dirà chi lo accompagnava. Una foto lo ritrae sorridente davanti alla porta della chiesa di Sainte-Mère-Eglise. Indicando il punto dove era rimasto "appeso" salvandosi la vita. Morì di cancro alla gola in 1969, all'età di 57 anni, in una piccola cittadina della Carolina del Nord. Pare che covasse il desiderio di essere seppellito in Normandia. Ma ciò non avvenne.

Ancora oggi però, a 80 anni da quel giorno, chiunque passi per Sainte-Mère-Eglise, guardando verso la piccola chiesa scorgerà con sgomento la riproduzione a grandezza d'uomo di un paracadutista americano nella sua uniforme da lancio, con il volto tinto di verde, i guanti di pelle gialla come solo i parà usavano, e le due grandi A bianche sulla spalla. Appeso a un pinnacolo con un paracadute di seta bianco che lo fa dondolare dolcemente nei giorni di vento.

Alla domanda del perché ci sia un manichino appeso là, e chi fosse, i francesi del piccolo paese normanno continueranno per chissà quanti anni a rispondere che quello era John Steele: un americano dell'Illinois che la notte del 6 giugno 1944, la notte del D-Day, era sceso dal cielo insieme a tutti gli altri. E venne salvato dal caso, o dal destino. Forse da un angelo custode che teneva alla Francia.

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