Quattro giorni e cento ore di scontri, sangue inutilmente versato tra due Paesi diseredati, seimila morti in una landa dimenticata: e tutto questo, tragedia nella tragedia, dopo che a fare da innesco fu una partita di calcio. La storia della guerra tra Honduras ed El Salvador del luglio 1969 è drammatica e assurda al tempo stesso. Ma può essere rappresentativa della complessità della storia dei Paesi del cosiddetto "Terzo Mondo" ai tempi della Guerra Fredda, in cui i descamisados dei Paesi non allineati troppo spesso si trovavano a combattere tra loro in conflitti immotivati.
L'espulsione di 300mila salvadoregni dall'Honduras e l'invasione di terra da parte delle truppe di San Salvador che ne seguì furono accelerate dallo spareggio in tre partite con cui la nazionale salvadoregna sconfisse quella del Paese limitrofo nel 1969, accedendo ai Mondiali di calcio del 1970. Gli ultimi vinti da Pelé, quelli della Partita del Secolo, quelli dell'Azteca di Città del Messico. Ma anche quelli - purtroppo - della guerra del calcio. L'8 giugno 1969 a Tegucigalpa, capitale dell'Honduras, i padroni di casa avevano vinto l'andata 1-0; una settimana dopo, l'El Salvador si era vendicato con un sonoro 3-0. La differenza reti non valeva come regola negli spareggi mondiali della Concaf, la confederazione centroamericana, e dunque si organizzò a fine giugno all'Azteca uno spareggio. A vincere furono i salvadoregni 3-2, accedendo dunque agli spareggi finali con Haiti che li avrebbero portati in Messico alla fase finale del Mondiale.
Dal calcio al braccio di ferro
Poche settimane prima delle partite il regime militare honduregno di Oswaldo López Arellano, appoggiata da latifondisti e Stati Uniti, decise di utilizzare l'Instituto Nacional Agrario a fini di consenso interno per garantire ai cittadini le terre su cui, due anni prima, ai sensi di accordi tra Tegucigalpa e San Salvador circa 300mila salvadoregni si erano stanziati nel Paese limitrofo, cinque volte più grande e con una popolazione pari alla metà, per scampare alla mancanza di lavoro in patria. Sport Illustrated ricorda che "i centri profughi della Croce Rossa sul lato salvadoregno del confine erano stati sopraffatti. I giornali locali e le stazioni radio hanno colto l'occasione per difendere l'onore della loro nazione e demonizzare i loro oppressori honduregni sostenendo che le espulsioni erano pogrom omicidi di stupri di massa e mutilazioni. Ma il direttore della Croce Rossa, Baltasar Llort Escalante, ha detto di non aver visto prove di tali atrocità nei centri profughi o negli ospedali salvadoregni".
Edoardo Galeano, giornalista uruguaiano tra i grandi cantori dell'America Latina del Novecento, come ricorda il Guerin Sportivo ha raccontato le opposte retoriche in atto tra i due Paesi limitrofi: "Gli honduregni non avevano lavoro? Perché i salvadoregni venivano a portarglielo via. I salvadoregni morivano di fame? Perché gli honduregni li maltrattavano. Ogni popolo credeva che il suo nemico fosse il vicino”. El Salvador, nel contesto di una rivalità sempre più incandescente, avanzava rivendicazioni politiche prendendo il gancio della sfida lanciata da Arellano con la sua riforma agraria che escludeva gli immigrati. San Salvador rivendicava territori tali da garantirgli la conquista di uno sbocco sull’Oceano Atlantico e, nel Pacifico, rivendicava la condivisione della sovranità sul Golfo di Fonseca, area riparata dagli uragani che spesso devastano l'America centrale, da sempre un punto nevralgico per le rotte commerciali che, costeggiando il Pacifico, fanno la spola tra il Nord e il Sudamerica".
L'attacco di El Salvador
La partita di andata, vinta dagli honduregni, inaugurò il clima di rivalità tra le due nazionali e le due tifoserie che degenerò in guerriglia a El Salvador, dove l'accompagnatore della squadra honduregna fu ucciso a sassate e due tifosi furono uccisi. La sconfitta dell'Azteca fece degenerare il clima interno all'Honduras contro i salvadoregni: in entrambi i Paesi la notte dello spareggio i cittadini dell'altra nazione furono brutalmente perseguitati e aggrediti. Le provocazioni ai confini tra i due piccoli eserciti cominciarono a moltiplicarsi e il 14 luglio 1969, dopo la rottura delle relazioni diplomatiche da parte dell'Honduras, fu El Salvador a rompere gli indugi e a lanciare un attacco aereo e di terra su ordine del presidente, Generale Fidel Sanchez Hernandez.
I 12mila uomini mobilitati da San Salvador per due giorni penetrarono da ogni direzione nel territorio honduregno, occupandone oltre 1.600 chilometri quadrati. Il 17 luglio il riorganizzarsi dell'aviazione e dell'esercito honduregni aprirono la strada a una violenta controffensiva con cui l'avanzata salvadoregna fu contenuta. Nell'impasse venutasi a creare intervenne, tempestivamente, l'Organizzazione degli Stati Americani che il 18 impose un cessate il fuoco. Cento ore di guerra avevano prodotto una media di quasi 60 morti l'ora tra militari salvadoregni (200), soldati honduregni (3mila) e civili (600 salvadoregni, 3mila honduregni). El Salvador, riconosciuto dall'Osa come Stato aggressore, fu costretto a ritirarsi, l'Honduras a riammettere sul suo suolo i cittadini salvadoregni espulsi.
Il racconto di Kapuscinski
Chi si trovava in Honduras ai tempi della guerra era Ryszard Kapuscinski, grande inviato di guerra polacco e cronista di razza, che nel 1978 avrebbe dedicato il suo volumetto "La prima guerra del football" ai conflitti civili e tra Stati del Terzo Mondo, indicando nella "guerra del calcio" il paradigma di questo tipo di conflitti: capaci di generare solo miseria, di dissanguare Paesi allo stremo, di indebolire la fibra sociale e le casse dei rispettivi popoli in nome di élite distanti dalla realtà.
Kapuscinski scrisse che "il confine tra calcio e politica spesso è molto sottile" e notò l'importanza delle passioni generate dallo sport più popolare al mondo in America Latina. La guerra del calcio fu paragonata dal giornalista polacco per il Terzo Mondo ai golpe che portarono alla caduta di Nkrumah in Ghana, Lumumba in Congo, Ben Bella in Algeria.
I tre uomini erano "figli di tempeste e pressioni, nati dai desideri e dai desideri non solo dei loro paesi ma dell'intero continente"; la guerra del calcio nacque da aspettative mai rispettate di riscatto che si sfogarono in frustrazione e violenza. E divenne paradigma di un Terzo Mondo in cui, come si nota anche oggi, il calcio è un pretesto. Per parlare dei cambiamenti sociali o, anche in forma tragica a volte, accelerarli.
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