L'ultimo "lampo" di Napoleone

Prima della conquista della capitale Parigi da parte della Sesta Coalizione, Napoleone per un mese difese il Nord-Est della Francia. Collezionando una serie notevole - ma vana - di vittorie nella sua campagna meno nota

L'ultimo "lampo" di Napoleone

Il 30 marzo 1814 le forze della coalizione avversa a Napoleone Bonaparte, reduci dalla vittoria di Lipsia l'anno precedente, entrarono a Parigi accelerando la fine dell'epopea del Corso. L'impero proclamato solennemente il 2 dicembre 1804 e plasmato col sangue e il sacrificio di centinaia di migliaia di uomini, ma anche con ideali di libertà e emancipazione portati in tutta Europa, collassò in pochi giorni e si avviò, dopo il Trattato di Fontaineblau, verso un precipitoso declino. A cui avrebbe fatto seguito, come ultima coda, la fugace parabola dei Cento Giorni del 1815 conclusasi a Waterloo.

La rapida dissipazione del potere napoleonico seguito a quell'evento e la vittoria di forze soverchianti contro una Francia che aveva subito i contraccolpi della sciagurata invasione della Russia del 1812 cancellarono nella memoria storica quella che fu, paradossalmente, la più vittoriosa delle campagne di Napoleone, almeno sul fronte dei risultati ottenuti fatto salvo il rapporto di forze con i nemici. La campagna del Nord-Est della Francia del 1814 fu paragonabile alle grandi epopee rivoluzionarie di resistenza alle monarchie europee ai tempi di Valmy, valorizzò il fiuto strategico di Napoleone e lo condusse di vittoria in vittoria.

Ma Bonaparte dimenticò i precetti di Sun Tzu sul fatto che il grande stratega è colui che, in fin dei conti, vince senza scendere in battaglia. E così per il novero soverchiante delle forze e l'assedio su più lati, alla fine una serie di vittorie tattiche non evitarono una sconfitta strategica. Napoleone, comprese le furerie e i reparti logistici, poteva contare su 80mila uomini. Al suo fianco alcuni dei più bei nomi dell'epopea militare del decennio precedente: Michel Ney, figura di tragica grandezza; Louis Alexandre Berhier, vincitore di Wagram e capo di Stato Maggiore dal 1812; Nicolas Oudinot, veterano di Austerlitz. Contro, le forze di Russia, Austria, Prussia, Svezia e diversi alleati minori, dalla Sassonia ai Paesi Bassi, per un totale di circa 350-400mila soldati schierati su tre colonne. L'austriaco Karl Philipp Schwarzenberg, con metà delle forze, avanzava da Sud, mentre da Est e da Nord avanzavano prussiani, russi e svedesi guidati da Carlo Giovanni di Svezia, già maresciallo dell'Impero come Jean-Baptiste Bernadotte, e dai marescialli prussiani Gebhard von Blucher e Friedrich Wilhelm von Bülow. Al seguito, anche lo zar Alessandro I di Russia, desideroso della vittoria definitiva dopo la cacciata del Corso dal suo Paese.

Napoleone, contro queste armate convergenti, si mosse come fulmine di guerra per ritardare l'inevitabile. Le truppe della Vecchia Guardia, i coscritti delle leve 1814 e 1815 chiamati in anticipo e le poche truppe straniere fedeli all'Impero combatterono, dopo il passaggio nemico del Reno, nelle terre che un secolo dopo sarebbero state teatro della Grande Guerra. Le valli della Mosella e della Marna, ben conosciute dai veterani francesi, furono teatro della battaglia di retroguardia di Napoleone. Alla testa delle sue truppe, forse cercando un'eroica morte sul campo in patria, Napoleone colpì il 28 gennaio i prussiani a Brienne, fu costretto dal gelo a concedere l'occupazione di Troyes, travolse i russi a Champaubert il 10 febbraio, un contingente russo-prussiano guidato dai generali Osten-Sacken e Yorck a Montmirail il giorno successivo e cercò di anticipare, una settimana dopo, il ricongiungimento con la colossale colonna austriaca guidata da Schwarzenberg.

Quest'ultimo affrontò Napoleone a Mormant, tra la Senna e la Marna, il 17 febbraio 1814. Napoleone schierò l'intera Vecchia Guardia contro i corpi d'armata dell'Impero Austriaco. Il muro di fuoco dei fucilieri francesi infranse le cariche nemiche, i cannoni in fuoco incrociato fecero strage delle truppe di Vienna e 3mila austriaci restarono sul campo. Napoleone aveva nella sua difesa in profondità fermato un altro assalto. Tutte queste battaglie erano però accomunate da un dato di fatto: il Corso doveva gettarsi muovendo a marce forzate le sue truppe sempre più stanche contro singole unità o corpi separati delle forze nemiche, evitando con disperazione che esse unissero le loro forze. Ma la tecnica poteva essere solo dilatatoria.

A Monterau, il giorno dopo Mormant, gli austriaci furono di nuovo respinti e Napoleone colpì, il 21 febbraio a Mery-sur-Seine. Sei vittorie in un mese avrebbero inchiodato qualsiasi invasore, ma non quello preponderante numericamente della Sesta Coalizione, ben rifornito via mare dal Regno Unito e con una solida retrovia. Oltre che - ovviamente - in controllo del fattore più importante: il tempo. Napoleone non poteva essere ovunque, le città francesi cadevano comunque per mano delle colonne rimaste indisturbate dai rapidi movimenti di fronte. Mentre Bonaparte conduceva con sé il grosso delle sue armate, le giovani reclute di guarnigione indietreggiavano non ingaggiando i nemici. Così cadde una delle principali città di Francia, Reims, che Napoleone riconquistò il 13 marzo. A Bonaparte erano però rimasti meno di 40mila uomini. Quattro giorni prima, a Laon, per la prima volta i francesi erano stati colpiti da un'armata unita, prussiana in questo caso, in netta superiorità numerica. 85mila prussiani respinsero ogni tentativo nemico di incunearsi nel loro fronte. Del resto, combattevano contro soli 35mila francesi: Napoleone si ritirò combattendo, riconquistando come detto Reims, ma il tempo giocava a suo sfavore.

Mancato il successo definitivo, ovvero il flop politico della coalizione, la più rapida e vittoriosa delle guerre di Bonaparte ebbe il canto del cigno ad Arcis-sur-Aube, vicina Parigi, tra il 20 e il 21 marzo, quando Oudinot dovette ritirarsi di fronte a Schwarzenberg. Napoleone tentò l'ultima difesa ordinando alla cavalleria di disturbare le linee logistiche degli alleati, che però piuttosto che disperdere le sue truppe, ridotte a 25-30mila, scelsero di conquistare il gioiello più prezioso: Parigi. La capitale dell'Impero era ritenuta strategicamente non decisiva. Ma l'ingresso di russi e prussiani fu uno choc per tutti i residui fedeli di Napoleone.

Il 30 marzo ci fu l'entrata in forze. Il 31 marzo i pochi combattimenti cessarono. Il 6 aprile Napoleone era caduto: firmò il Trattato di Fontaineblau, accettando il temporaneo esilio all'Elba prima del colpo di coda dei Cento Giorni.

I principi Metternich e Nesselrode per Austria e Russia confezionarono una pace onorevole, che però non nascondeva la realtà dei fatti: Napoleone era sconfitto dopo una sequela inevitabile di vittorie. A testimonianza del trionfo degli obiettivi politici su quelli militari in un Impero francese ormai al tramonto.

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