C'è un buffo inno che uomini messi a dura prova dalla guerra e da una lunga degenza avevano composto per tirarsi su il morale, in attesa di potersi riguardare allo specchio senza tremare di terrore. Tra loro si chiamavano i "Guinea Pigs" - porcellini d'India, le cavie per eccellenza - ed erano i membri di un esclusivo tanto sfortunato club, in quanto tutti sottoposti alle pionieristiche cure di un dottore che avrebbe fatto la storia della chirurgia plastica: l'encomiabile Archibald Hector McIndoe. Un uomo che era arrivato dalla Nuova Zelanda e che sarebbe diventato "Sir" per i servigi resi alla corona ma soprattutto ai suoi "porcellini d'India" gravemente feriti in combattimento.
Quando il 3 settembre del 1940 il pilota e futuro scrittore Richard Hillary fu abbattuto dal suo “Ultimo avversario”, mentre volava sul suo Spitfire per difendere i cieli d’Inghilterra in quella che Churchill avrebbe definito l'ora più buia, si ritrovò bruciato e sfinito a dondolare appeso al paracadute che aveva aperto per miracolo. La pelle gli pendeva a brandelli sul volto ustionato, e le dita erano diventate un tutt’uno con la pelle dei guanti da aviatore. Ammollo nel mare salato dove si era inabissato il suo aereo in fiamme, svenne pensando al suo destino e alla sua sfortuna nel non essere morto sul colpo. Perché era l’atroce destino dei giovani piloti da caccia quando non vincevano un duello: potevano morire o rimanere gravemente ustionati, perché le pallottole avversarie spesso colpivano il serbatoio dei loro aeroplani lasciando che le fiamme avvampassero in meno di un istante. Conoscere il loro destino, sapere che potevano ritrovarsi a essere uno delle centinaia di sfortunati che diventavano noti come gli “uomini senza volto” - ossia coloro che in seguito a quelle terrificanti ustioni rimanevano sfigurati al punto di non avere più alcun lineamento - li terrorizzava più di ogni altra cosa. Avrebbero trascorso un futuro privato dell'espressività. Di sorridere, o piangere. Sarebbero stati condannati forse a una vita solitaria, per il solo timore d'essere guardati, rifiutati, o addirittura di spaventare chi poteva imbattersi nella loro immagine.
Recuperato a un passo dall'oblio, Hillary, come altri prima e dopo di lui, si ritrovò ricoverato nel terzo reparto del Queen Victoria Hospital di East Grinstead, nel Sussex. Era là che venivano convogliati tutti i piloti della Royal Air Force che in quei giorni di battaglie aeree così forsennate, avevano subito le ferite e le ustioni più gravi. Era là che li attendeva il dottor McIndoe, nominato consulente di chirurgia plastica dal Ministero della Guerra nel 1938.
Nato nei sobborghi di Dunedin, nella lontana Nuova Zelanda, Archibald McIndoe, specialista in chirurgia, effettuava fino a quattro interventi chirurgici al giorno ed era contornato di uomini senza naso o senza mascella, con vistosi bendaggi, che spesso li facevano sembrare delle curiose "mummie" in pigiama da notte. Molti avevano moncherini, altri, più fortunati almeno a un primo sguardo, erano solo privi dei capelli - nonostante avessero appena festeggiato i loro vent’anni - e con una benda su un occhio. Tutti facevano parte di quello che sarebbe divenuto noto come il Guinea Pigs Club: perché erano le cavie della chirurgia (a volte solo pionieristica, a volte quasi sperimentale) di quel dottore che li osservava senza lasciar trasparire il minimo sgomento o imbarazzo dal suo sguardo gentile e rassicurante.
Le garze, l'acqua di mare e l'affetto per i "suoi ragazzi"
Dei 4500 piloti abbattuti durante la guerra, almeno 3.600 subirono ustioni del corpo: 700 di queste erano estremamente gravi e almeno 200 di loro rischiavano di rimanere completamente sfigurati. Per ogni paziente arrivato al suo reparto, McIndoe programmava un piano di ricostruzione ad hoc, senza seguire protocolli standard nel caso di ustioni e ricostruzioni. Così facendo, riuscì presto ad avere brillanti intuizioni e aggiornare tecniche e trattamenti. Ad esempio (e questo era il caso di pazienti come il succitato Hillary), McIndoe si rese conto dell’efficacia dei bagni salini nel processo di guarigione notando la differenza tra le ustioni presentante dai pazienti che erano stati recuperati dal mare e quelli che erano stati soccorsi a terra. Ritenendo obsoleta la cura delle ustioni impiegata durante la guerra, preferì mantenere tratti di pelle feriti e ustionati asciutti ma coperti da garza imbevuta di vaselina, in modo che non si attaccasse alle ferite, e abbandonò così la “terapia della coagulazione”, che prevedeva l’uso dell’acido tannico, reputandola oltre che vecchia anche dolorosa. Essa impediva inoltre l’innesto cutaneo, oltre a causare, in alcuni casi, la cancrena e causando spesso la cecità a coloro che erano rimasti ustionati nella zona degli occhi. Eventualità molto comune nei piloti.
In media ogni paziente di McIndoe sarebbe stato sottoposto a un minimo di 10 fino a un massimo di 50 operazioni nel corso di tre lunghi anni. Al termine delle prime cure, tutte le tecniche della moderna chirurgia plastica venivano impiegate o sperimentate per ricostruire palpebre, labbra, guance, nasi, sopracciglia e orecchie. Lo stesso valeva per le ferite agli arti. È noto che il famoso asso da caccia Geoffrey Page - che rinforzava segretamente le dita ferite schiacciando una pallina di gomma che teneva nascosta sotto le coperte - subì ben 15 operazioni. Ottenuta la riabilitazione al volo in combattimento, giurò di abbattere un aereo nemico per ogni operazione subita riuscendo ad onorare il suo impegno.
Un lato importante della missione di McIndoe era il modo di prendersi cura di quelli che chiamava “i suoi ragazzi”. Il dottore dava un grande peso alla riabilitazione e ricordava a tutto il personale medico quanto fosse importante supportare quei giovani piloti nel superamento del trauma psicologico che stavano vivendo. "Creare ordine dal caos e fare una faccia che non susciti pietà o orrore. In questo modo possiamo riportare un'anima perduta alla vita normale". Questo era l’impegno di McIndoe, che parlando dei suoi giovanotti in uniforme da pilota - gliela lasciava indossare a piacere, per non farli perdere d’animo - spesso ripeteva: "I loro corpi possano essere spezzati... ma il loro spirito no".
Porcellini d’India con le ali da pilota appuntate sul petto
Il Guinea Pigs Club venne fondato nel luglio 1941 dopo una serata di bagordi, dato che i piloti che erano finiti al terzo reparto avevano in dotazione radio, alcolici e una serie di svaghi per passare il tempo tra di loro alleviando la lunga degenza. Venne fissata una quota partecipativa da versare annualmente e le somme di denaro sarebbero servite anche ad aiutare economicamente i piloti che una volta congedati potevano trovarsi in difficoltà. Come tesoriere venne scelto pilota che aveva entrambe le gambe gravemente ustionate e ingessate. Il motivo? "Era senz’altro incapace di scappare con i fondi del club", dicevano i commilitoni.
Una delle principali sfide di McIndoe - tolto l’impegno ospedaliero puro e semplice - fu quella di cambiare le regole dalla Raf. Fra tutte, quella che era considerata la “regola dei 90 giorni”: termine di tempo che stabiliva se un militare ferito fosse in grado o meno di tornare in servizio attivo. In caso contrario sarebbe stato dichiarato invalido e, dopo il congedo, avrebbe ricevuto una pensione piuttosto modesta, “basata su la gravità delle sue ferite”. McIndoe spronò il Ministero della Guerra a riconsiderare questi limiti di tempo, dilatandoli in virtù delle operazioni e del tempo che necessitavano, e ottenendo che, in caso di impossibilità di ritornare al servizio attivo, il pilota avrebbe ricevuto come pensione il 100 per cento della sua paga precedente. Un caso raro, dato che l'80% dei pazienti venne riabilitato e tornò al servizio attivo. Molti addirittura in combattimento.
I pazienti rimasero molto tempo accanto al loro benvoluto medico, sviluppando un’amicizia profonda che in tutti i casi sopravvisse alla guerra e al ritorno alle proprie case. Il Guinea Pigs Club, infatti, era un piccolo club internazionale dove non erano escluse tensioni e piccole baruffe per la sola provenienza. Quando entravano in discussione tra loro, i giovani avieri erano soliti scambiarsi frasi come “Ti darei un cazzotto sul naso, se ancora ne avesti uno” e “e io te lo restituirei se solo avessi una mano per dartelo”. Secondo i resoconti, potevano andare avanti così per tutta la giornata. Ma questo non faceva altro che rafforzare le tesi sostenute da McIndoe, e il suo impegno nella riabilitazione psicologica oltre che fisica di quei giovani inglesi, canadesi, australiani, neozelandesi, americani che erano partiti volontari ancora prima di Pearl Harbor, francesi, cecoslovacchi e polacchi. Tutti ragazzi che avevano più o meno venti anni e avevano combattuto uno a fianco dell’altro, in aria come nella corsia d'ospedale.
Durante e dopo la guerra Archibald McIndoe, baronetto dal 1947, ottenne il plauso della comunità medica internazionale. Invitato spesso a conferenze in giro per il mondo, aprì uno studio privato di grande successo. Morì nel sonno all’età di 59 anni. Una morte dolce per un uomo gentile. Seppure troppo precoce per qualcuno che aveva saputo dare così tanto a quei pochi che passarono alla storia come i few. Membri di quell’esclusivo club di coraggiosi che brindarono fino alla fine dei loro giorni, riunendosi e cantando quel buffo inno in ricordo del loro medico curante.
“Noi siamo l’esercito di McIndoe” gridavano, boccale di birra o bicchiere di sherry alla mano, “siamo i Guinea Pigs, con dermatosi e peduncoli, occhi di vetro, denti fini e parrucche, e quando avremo il nostro congedo grideremo con tutte le nostre forze: 'Per ardua ad astra'”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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