TANGENTOPOLI MORALE DI TONINO

Questa è la storia di un’amicizia il cui epilogo si rivelerà così sconcertante da spiegare chi è Antonio Di Pietro meglio di cento altri episodi. È la storia di un uomo, Di Pietro, che in vita sua ha avuto un solo amico del cuore; ma questo amico, nel 2002, fu accusato d’aver ucciso la moglie e allora l’ex magistrato accorse, divenne suo avvocato, lo difese pubblicamente, lo valorizzò come amico d’infanzia: ma poi l’amico venne arrestato, l’aria cambiò e Di Pietro passò ad accusarlo con gli stessi materiali che da avvocato aveva raccolto per difenderlo. Lo denunciò persino, e davanti ai giornalisti intanto l’amica d’infanzia era diventata la moglie uccisa. L’amico è stato condannato anche grazie al suo avvocato, che perciò è stato sospeso dall’Ordine. Ma non se ne duole.
Per figurare come paladino vincente del giusto contro lo sbagliato, per quattro voti straccioni, è disposto a pagare qualsiasi prezzo. Erano amici dal settembre 1961. Si conobbero 11enni al seminario diocesano di Termoli, quando in convento si andava a star meglio. Pasqualino Cianci era un coetaneo di Tavenna, e non ci fu ora o giornata o stagione che i due non divisero per tre lunghi anni. Era un complice inseparabile anche nei periodi estivi passati alla masseria di Tonino, dove divisero la stagione più bella della campagna e della giovinezza. Pasqualino ha sposato una paesana, ed è andato a vivere proprio di fronte alla masseria. Durante Mani pulite era l’unico ad avere libero accesso alla casa colonica della famiglia, e divenne un riferimento per i giornalisti.
Poi, l’8 marzo 2002, Pasqualino e la moglie vennero trovati a terra nella loro casa: lei morta strangolata, lui tramortito. Di Pietro, allora in disarmo perché non rieletto in Parlamento, si precipitò e pretese la veste di avvocato di parte civile. Immaginarsi la fiera. Giuliana, la moglie, diceva di ricordarla: era quella bambina di dieci anni con cui lui e Pasqualino giocavano d’estate. Si erano incontrati anche la domenica precedente al fattaccio, a Termoli. Cianci era assistito anche da un altro legale, Domenico Porfido, e intanto Di Pietro faceva un baccano d’inferno. Si scagliò contro i giornalisti che sospettavano dell’amico, e al funerale eccoli uno accanto all’altro. Dormivano assieme nella masseria, come nelle estati di quarant’anni prima. Ma poi Pasqualino fu arrestato, e il linguaggio dell’amico prese a cambiare: «Ho svolto le mie indagini sull’omicidio della mia amica d’infanzia», disse. Stava mettendo il cappello sull’inchiesta, e la rinnovata «amica d’infanzia» era diventata lei. La figlia, Debora, gridò l’innocenza del padre come sempre farà. E Tonino sempre più ambiguo: «Difenderò la vittima, chiunque sia l’assassino».
Al processo, nel gennaio 2005, Di Pietro era diventato avvocato di parte civile contro l’amico. Non pensò che i diritti di un assistito, peraltro il suo migliore amico, andassero garantiti in ogni caso. Verità e la verità processuale non sempre coincidono, ma molto lasciava intendere che Pasqualino sarebbe stato condannato in ogni caso. Neppure pensò di astenersi, Di Pietro: non è un modus compatibile con la sua immagine pubblica. Può darsi che l’abbia abbandonato perché lo riteneva colpevole, o può darsi che l’abbia abbandonato perché pensava che il tribunale l’avrebbe comunque condannato. Il 31 gennaio 2007 Pasqualino ha preso 21 anni e 6 mesi. Attende l’Appello.

L’Ordine degli avvocati sospenderà Di Pietro perché fu provato che le sue attività da difensore si erano rivelate utili per la condanna.
Da allora, Tonino ha continuato a fare la morale al Pianeta come sempre, e a parlare di «valori». Solo lui e Pasqualino sanno chi dei due scenderà all’inferno, o se si ritroveranno ancora.

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