Le continue rinascita della Scala, "il più bel teatro del mondo"

Il volume di Pierluigi Panza racconta la storia scaligera. Dalle distruzioni ai "palchettisti" benefici

Le continue rinascita della Scala, "il più bel teatro del mondo"
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Mentre scriviamo, le impalcature sulla facciata della Scala vanno via via smontandosi. Si scorge nel timpano, ed erano vent’anni che non appariva così definito, il bassorilievo del Carro di Apollo, con lo sfondo blu brillante. Per la Prima del 7 dicembre tutta la facciata sarà liberata, dopo un intervento di consolidamento e pulitura durato 240 giorni. Che «il più bel teatro del mondo» (cit. Stendhal) sia un cantiere sempre aperto è scontato, ma pochi sanno che la Scala è da sempre un’araba fenice, pronta a rinascere di continuo dalle sue ceneri.

Lo racconta bene Pierluigi Panza ne La Scala. Architettura e città (pp. 296, 65 euro), un volume edito da Marsilio Arte e Teatro alla Scala, corredato da 280 illustrazioni e disegni a colori, in libreria alla vigilia della Prima. Firma del Corriere del Sera, docente al Politecnico di Milano e fine osservatore di scaligere vicende, Panza ricostruisce in undici capitoli la cronologia degli eventi che portarono la Scala ad essere ciò che oggi è, concedendosi sul legame simbiotico del teatro con la metropoli. Per questo sapere che il teatro nacque da due distruzioni e due rifiuti, rende il tutto ancor più significativo. Le distruzioni furono l’incendio del teatro dentro Palazzo Ducale, poi detto Palazzo Reale, e l’abbattimento della chiesa gotica di Santa Maria alla Scala, sulle cui rovine il teatro sorgerà e da cui prenderà il nome. Il primo gran rifiuto fu invece di Luigi Vanvitelli e poi il secondo dal musicista Christoph Willibald Gluck: lasciò l’inaugurazione, cioè la «prima Prima», al giovane Antonio Salieri. La sua L’Europa riconosciuta aprirà ufficialmente la Scala il 3 agosto 1778.

Tra i gustosi aneddoti di Panza ci sono quelli relativi ai costi della costruzione, sostenuta nel ’700 dai «palchettisti», ossia le famiglie titolari di uno o più palchi, le stesse che segneranno la toponomastica meneghina (Visconti di Modrone, Arese, Litta, Trivulzio, Borromeo, e così via).

Il bello di questa storia scaligera sta anche nella sua declinazione recente e nello sguardo aperto al futuro (vedi alla voce laboratori della Scala) negli anni Novanta, con Pillitteri sindaco, nasce il «sistema Scala» e si concepiscono gli Arcimboldi, teatro gemello utile a sostituire il Piermarini, chiuso durante i lavori dell’architetto Mario Botta che, nei primi Duemila, aggiungerà due nuovi volumi architettonici, l’ellisse e la torre scenica, necessari alle esigenze di un teatro che vuole farsi contemporaneo e competitivo. La scelta fece discutere parecchio, come sempre accade con la Scala.

Eppure, come dimostra nella sua fulminante introduzione al volume di Panza, il ticinese Botta ha colto l’anima cangiante di un teatro che, proprio per la peculiarità della sua storia, non solo è parte del Dna di Milano, ma antidoto, finora efficace, alla sua omologazione.

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