ìAlla fine della fiera, che cosa conta più di tutto il resto, per tutti e da sempre? Ovviamente, la salute. Ma quando la salute non c'è ancora e quando la salute non può più esserci? Ecco allora che cosa conta più della salute: chi nasce e chi muore, la culla e la tomba. A proposito di chi nasce (e da chi), un pettegolezzo vuole che Gustave Flaubert avesse, volontariamente o no, instillato nel suo amico e protetto Guy de Maupassant qualche dubbio sul suo, di Guy, concepimento. E dopo la morte di Guy i fratelli Goncourt, a confronto dei quali Roberto D'Agostino è il santo protettore della privacy, dissero di peggio, anzi scrissero di peggio. Sul loro Journal scrissero che proprio Flaubert, non il signorotto Gustave Albert de Maupassant, era il vero padre dell'autore di Bel-Ami e di Pierre et Jean. Se lo sarebbe lasciato sfuggire, poco dopo la scomparsa del figlio, la sua stessa madre Laure, nata le Poittevin, sopravvissutagli di dieci anni e (almeno) amica d'infanzia di Flaubert...
Chi nasce e chi muore, dunque, non se ne esce. La cadenza delle uscite librarie, in tema di Maupassant ci porta oggi a parlare prima dei morti e poi dei vivi. I morti li troviamo nella funerea, ma anche ironica e gustosa, raccolta di Racconti in nero (Edizioni Ares, pagg. 117, euro 14, traduzione di Silvia Stucchi). Dove le donne vincono cinque a uno sugli uomini. E di queste cinque ben tre, con rispetto parlando, sono di costumi piuttosto facili. Soprattutto la prima, inserita da Maupassant nella categoria Le tombali. Le tombali sono belle vedove dotate di veletta e lacrime a comando le quali, nei cimiteri, fingono di straziarsi sulla tomba del marito per accalappiare altri uomini, prima inteneriti dal loro dolore (artefatto) e subito dopo attratti dal loro consenso a farsi accompagnare fuori per bere qualcosa. La seconda e la terza, invece, non hanno colpe né meriti: una (Il tic) è stata seppellita da viva e a rimetterla in posizione verticale è il tentativo di rubarle gli anelli da parte di un necro-ladro, per cui ci rimette soltanto un dito; l'altra (La tomba), morta è, senza dubbio, e il suo fidanzato, davvero inconsolabile, la vuole vedere cadavere. La quarta (La morta), addirittura, da morta si ribella alla morte e al... buonismo lapidario e, ormai scheletro, corregge così l'iscrizione della sua tomba: «Uscita un giorno per tradire il suo amante, prese freddo sotto la pioggia, e morì». La quinta (L'attendente), con una lettera post(mortem)datata, confessa al marito una doppia liaison con altri uomini. Quanto all'uomo (La locanda), è una specie di Jack Torrance: custode di una baita in un inverno da tregenda, impazzisce e per lui la vita è peggio della morte.
Ed eccoci ai vivi, che sono in attesa di un nuovo arrivo. Con L'eredità (Carbonio Editore, pagg. 155, euro 15, traduzione e introduzione di Bruno Nacci, dal 15 novembre in libreria), romanzo uscito a puntate tra il 15 marzo e il 26 aprile 1884 su La vie militaire e sviluppo del precedente racconto Un milione, firmato Maufrigneuse, passiamo dall'orrore-splatter-grottesco dei Racconti in nero alla commedia, molto teatrale, quasi da vaudeville. Parigi, ministero della Marina. Cachelin, vedovo, ex sottoufficiale, una «carriera di ultimo subordinato», punta il giovane collega Lesable: vuole fargli sposare sua figlia Coralie, ma soltanto a scopo di lucro. Infatti Charlotte, la sorella di Cachelin, zitella decrepita e ricchissima che vive con lui e l'impalmabile ragazza, lascerà in eredità il suo milione abbondante di franchi proprio a Coralie, ma a patto che le dia un nipotino. Lesable ovviamente (per ora) non lo sa, e Coralie gli piace assai.
Scandita dalle chiacchiere, dalle antipatie, dal bullismo e dalla competizione fra colleghi, dipinti dall'Autore con incisive e rapide pennellate che ricordano il Messieurs les ronds-de-cuir di Georges Courteline (tradotto in Italia, di volta in volta con Quelli dalle mezzemaniche, I mezzemaniche, I travet e - l'anno scorso, da Elliot - Tipi da scrivania), altro romanzo ministeriale, la narrazione si dipana fra quattro mura, che siano quelle del posto di lavoro o quelle di casa Cachelin. I due ignari promessi sposi, fin da subito non sembrano bene assortiti: lui è bruttino e stacanovista, il classico impiegato più che ligio, schiavo del dovere, con un mucchio di straordinari e il dichiarato obbiettivo di salire il più in alto possibile sulla scala burocratica; lei è una femmina tanto bella quanto energica e dallo spiccato senso pratico.
Anche qui, naturalmente, spunta la morte, quella tanto auspicata da Cachelin: Charlotte tira le cuoia. La sua dipartita sarebbe un happy end, e insieme l'inizio di una serena e ultra-borghese vita familiare per tutti, dopo il matrimonio ben apparecchiato, se non ci fosse un «ma» grosso come un macigno. Citando a questo punto il geniale titolo di Dino Buzzati su un matrimonio sciolto dalla Sacra Rota per un caso di impotentia coeundi, ovvero «Non coniugava l'imperfetto», diciamo troppo? O troppo poco? Da signore, Guy de Maupassant si ferma un passo prima di varcare la soglia della camera da letto di Lesable e Coralie, nonostante sottolinei le difficoltà del primo a ingranare la marcia che sarebbe trionfale. Tuttavia, poiché la Natura insegna che dopo la morte viene la vita, dobbiamo prepararci ad accogliere il frutto di tanta fatica pur avendo in testa, come ebbe lo stesso Autore, il tarlo del dubbio.
Al battesimo della piccola creatura, chiamata opportunamente Désirée, un collega del neo-papà fa una battuta degna di Buzzati. Dopo che il grande Guy ha già chiosato così la vicenda: «La felicità è egoista e non sa che farsene degli estranei».
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