Dopo tre mesi di proteste il regime siriano apre al dialogo con l'opposizione

Il prossimo 10 luglio il primo confronto sulla possibile abrogazione del monopartitismo. Ieri, intanto, si è tenuto un incontro di duecento oppositori e intellettuali con il permesso del governo. Una concessione tesa a stemperare il clima e cercare una via d'uscita dalle agitazioni.

Non conquista i titoli dei giornali e raramente sale alla ribalta dei tg ma la rivoluzione siriana continua il suo cammino e costringe il regime di Damasco a concedere qualche timida apertura. La conferma è arrivata ieri quando è stato reso noto che il governo si confronterà con l'opposizione il prossimo 10 luglio per porre le basi del dialogo nazionale, come aveva promesso il presidente siriano Bashar al-Assad nel suo ultimo discorso in Parlamento, sull'onda della rivolta popolare che da oltre tre mesi scuote il paese.
La notizia dell' «incontro consultivo» è stata diffusa dall'agenzia di stampa governativa, Sana, che ha spiegato che, all'ordine del giorno di questi colloqui, ci saranno gli emendamenti costituzionali, compresa l'abrogazione dell'articolo 8 che sancisce il monopartismo e l'unicità del partito Baath al centro della vita politica del Paese. Un annuncio diffuso proprio mentre a Damasco, per la prima volta dall'avvento del regime baathista, circa 200 oppositori tra intellettuali e attivisti siriani si sono riuniti, dopo aver incassato il via libera del regime, per discutere un piano di azioni comune con cui trovare una via di uscita dalle proteste. Una sorta di prova di «dialogo nazionale» pensato per provare a stemperare la pressione della piazza dopo oltre tre mesi di proteste e della conseguente repressione che, secondo attivisti, ha causato finora l'uccisione di 1342 civili e 343 tra militari e agenti di polizia. In ogni caso il gruppo di intellettuali e dissidenti siriani riunitosi a Damasco per pianificare una via di uscita dalle agitazioni che scuotono il Paese, ha promesso di continuare ad aderire «a movimenti di contestazione pacifica» contro il regime di Bachar al-Assad.
Alla vigilia dell'inedita conferenza degli oppositori, circa 300 studenti universitari di Aleppo, arrestati nei giorni scorsi dalle forze di sicurezza che ne avevano disperso i ripetuti raduni all'interno del campus, sono comparsi ieri di fronte ai giudici con l'accusa di «atti di vandalismo», «vilipendio alla figura del presidente della Repubblica» e «incitamento ad azioni contro la sicurezza nazionale». Secondo i comitati di coordinamento locale in Siria (Lccs), piattaforma che riunisce gli organizzatori della mobilitazione in corso da metà marzo, si sono svolte anche stanotte fiaccolate e sit-in in quasi tutti gli epicentri delle proteste, persino in quelle regioni dove persiste una massiccia presenza di truppe militari come in quella di Daraa, nell'estremo sud, di Idlib al nord-ovest al confine con la Turchia, di Latakia sulla costa e in quella centrale di Homs.
Il primo passo verso un possibile dialogo non è passato, comunque, inosservato presso la comunità internazionale. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno definito un «avvenimento importante» la riunione pubblica degli oppositori senza precedenti che si è tenuta a Damasco. «È un avvenimento importante, la prima riunione di questo tipo da decenni», ha sottolineato il portavoce della diplomazia americana, Victoria Nuland, che ha confermato che molti degli oppositori sono in contatto con l'ambasciata degli Stati Uniti in Siria. Tra gli oppositori, comunque, non c'è piena coincidenza di opinioni sul tipo di cammino da percorrere per favorire l'avvento del pluralismo.

C'è chi dubita sulla reale volontà del regime di fare concessioni. E chi insiste affinché si persegua l'obiettivo attraverso la via rivoluzionaria piuttosto che confidando su una sorta di fragile road map verso la democrazia disegnata dal regime.

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