È stata inaugurata oggi alla Triennale la mostra sui lavori di Roy Lichtenstein, che a luglio verrà trasferita al Ludwig Museum di Colonia, per rimanere aperta al pubblico fino al 3 ottobre. Al centro dell'esposizione «antologica», la percezione del «punto di vista» realizzato attraverso l'uso di immagini provenienti dalla storia dell'arte moderna. La mostra, a cura di Gianni Mercurio, è stata realizzata in collaborazione con The Roy Lichtenstein Foundation e prodotta dalla Triennale e da Alphaomega Art, in collaborazione col Comune di Milano.
Oltre cento opere sono state incluse nel lavoro, tra cui tele di grande formato, disegni, collages e sculture provenienti da collezioni pubbliche e private internazionali, dal Ludwig Museum di Colonia al Louisiana Museum di Copenaghen e il Whitney Museum di New York. La mostra è stata suddivisa in sezioni tematiche che comprendono opere realizzate dagli anni Cinquanta agli anni Novanta e ispirate al Cubismo, all'Espressionismo, al Futurismo, al Modernismo degli anni '30, all'astrazione minimalista, all'Actiong Painting, e ai generi del paesaggio e della natura morta. L'esposizione parte dai lavori degli anni '50, «poco conosciuti e molti di essi esposti per la prima volta» ha spiegato Mercurio, nei quali l'artista rivisitava iconografie medievali e reinterpretava dipinti di artisti americani come William Ranney ed opere come «Washigton Crossing The Delaware» del pittore Emanuel Gottlieb Leuze, «ricalcando gli stilemi espressivi dell'astrattismo europeo» e gli universi di Paul Klee di Picasso. «In questa fase della sua produzione - dice Mercurio - l'artista mescolava il modernismo proveniente dall'Europa con i vernacoli della storia e della cultura americana: gli indiani e il Far West, le scene di vita dei pionieri alla conquista delle terre, gli eroi e i cow-boy».
Negli anni Sessanta invece l'autore rielabora opere di Picasso, Matisse, Monet, Cèzanne, Mondrian, Dalì partendo dalle pubblicazioni a scopo divulgativo: «È un modo - spiega il curatore - per riportare la dimensione ineffabile della pittura a quella di "oggetto stampato" e commercializzato. Il lavoro di Lichtenstein non è mero citazionismo o volontà di reinterpretare l'arte del passato - conclude Mercurio -, ma di una riappropriazione e trasformazione in chiave Pop dei moduli dell'architettura greca, delle pitture etrusche, del segno barocco».
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