Vecchioni e i danni dell'istruzione di massa

Vecchioni e i danni dell'istruzione di massa
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Al Palazzo del Bo di Padova è stata votata la cinquina finalista del Premio Campiello 2024, concorso di narrativa italiana contemporanea promosso dalla Fondazione Il Campiello - Confindustria Veneto giunto alle 62esima edizione. Questa la cinquina: Il fuoco che ti porti dentro (Marsilio) di Antonio Franchini; La casa del Mago (Ponte alle Grazie) di Emanuele Trevi; Locus desperatus (Einaudi) di Michele Mari (alla seconda votazione); Alma (Feltrinelli) di Federica Manzon (alla terza votazione); Dilaga ovunque (Laterza) di Vanni Santoni (alla quinta votazione). Il vincitore sarà annunciato il 21 settembre al Gran Teatro La Fenice di Venezia. «L'allargamento della cultura ha portato alla diminuzione di singolarità eccellenti. Se io penso a chi ha vinto il Campiello negli anni '60 e '70, se ascolto musica, se leggo saggi trovo punte straordinarie. Oggi abbiamo un nugolo di autori letterari medio alti ma non ci sono punte». Così il cantautore, scrittore e docente Roberto Vecchioni, membro della giuria del Premio Campiello 2024, nel corso della cerimonia di selezione. Sembrerebbe e sarebbe una inutile laudatio del tempo andato, se non fosse per un dettaglio che il professor Roberto Vecchioni dovrebbe sottolineare anche in altri contesti, ad esempio le trasmissioni televisive in cui sono tutti belli, buoni e «geniali». Il cantautore, insegnante di italiano, latino e greco in scuole prestigiose come il liceo Beccaria di Milano, mette infatti il dito nella piaga: il fallimento dell'istruzione di massa. La cultura per tutti è un'ottima idea ma se implica il crollo della qualità allora diventa un suicidio. Proprio quello che abbiamo davanti agli occhi: romanzeria fatta con lo stampino, poeti che non sanno cosa sia un verso, saggistica «di testimonianza», cioè senza riscontri scientifici, quindi inutile se non dannosa. Non c'è da stupirsi: cosa puoi opporre a un programma nazionale che, fino a qualche anno fa, chiedeva all'insegnante di non imporre ma di far maturare nello studente la consapevolezza delle regole grammaticali? Cosa vuoi fare se le materie a un certo punto diventarono unità didattiche che procedono per argomenti? Gli allievi maturarono la consapevolezza che Petrarca e Leopardi sono... contemporanei perché entrambi parlano d'amore. C'era una volta, e non tanto tempo fa, una stagione eccezionale della cultura italiana. Negli studi letterari c'erano ancora o era ancora vivo il ricordo di intellettuali come Contini, De Robertis, Avalle, Dionisotti, Pasquali, Segre, Roncaglia, Caretti, Petrocchi. Oggi ci si può laureare senza averli mai sentiti nominare. L'università di massa, prima, e poi la distinzione, demenziale per le discipline umanistiche, tra laurea breve e magistrale hanno messo in crisi un modello di conoscenza che richiedeva olio di gomito e non era alla portata di tutti. A partire dagli anni Sessanta, una parte dei critici ha teorizzato di essere la cinghia di trasmissione tra l'industria editoriale e i lettori. Risultato: i critici sono diventati gli utili idioti degli editori. Il senso della gerarchia era ben sviluppato: uno non valeva uno.

Ogni studio approfondito è stato sacrificato sull'altare (fintamente democratico) del tutto a tutti, e se quel tutto in realtà è mediocre e provinciale, amen, i ricchi hanno tempo a disposizione, vanno alle università private e si trasferiscono all'estero.

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