È lusinghiero, il bilancio del 61º Festival di Sanremo. Abbiamo avuto tanta musica di qualità, testi originali, ospiti nazionali e internazionali in vena di concedersi generosamente a un pubblico partecipe ed entusiasta, un’orchestra affiatata e oliata a puntino. Ottime le scenografie, perfetti i tempi di un grande spettacolo in cui ognuno ha dato il meglio di sé.
Gianni Morandi? L’eterno ragazzo sembra ringiovanire anno dopo anno. Belén Rodriguez? Ha dimostrato (ma non ce n’era bisogno) di essere, oltre che bellissima, bravissima. Elisabetta Canalis? Ora l’avranno capito tutti che l’Italia, per «colpa» del fascinoso George Clooney, ha perso una star di prima grandezza a vantaggio di Hollywood. E i «guastatori» Paolo e Luca? Si sono calati nella parte da consumati teatranti, aggiungendo ben dosati pizzichi di pepe a una pietanza già sopraffina.
Ma dicendo questo non vorremmo passare per i soliti, stucchevoli detrattori dell’appuntamento nazionalpopolare per eccellenza. Troppo facile snobbare le consolidate passioni della maggioranza degli italiani. Troppo facile vestire i panni dei piccoli savonarola dello spirito patrio, ormai lisi dopo un uso improprio ed eccessivo della retorica da bastiancontrari.
Perché è vero o non è vero che l’intero Paese si è stretto a coorte nel Teatro Ariston riflettendo su se stesso e specchiandosi nei protagonisti che si esibivano sul palco? È vero o non è vero che nella battaglia combattuta a colpi di centimetri quadrati di cosce scoperte, Belén ed Eli hanno sublimato la dignità offesa delle donne «no-Ruby»? È vero o non è vero che il dilemma «elezioni sì elezioni no» ha trovato, nel confronto fra «big» e «giovani» la migliore delle metafore? È vero o non è vero che il nostro prestigio internazionale ha ricevuto, dalla presenza dei paisà Robert De Niro (baciato da Monica Bellucci, cioè dalla donna ambasciatrice dell’Italia nel mondo) e Miguel Ángel Zotto, un bel massaggio tonificante? E che i duetti del venerdì hanno simboleggiato la rinascente stagione delle convergenze parallele? E che, insomma, chi si è negato sdegnosamente all’abbraccio della pacificazione dovrà pentirsene amaramente?
Lasciamoli pure berciare, i tromboni della retorica antiretorica, lasciamoli a rosolare nell’invidia. Le Cinque Serate del Festival sono state l’equivalente delle Cinque Giornate di Milano. Infatti è successo un ’48. Chi se lo sarebbe aspettato?
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