Violenza in piazza, chi soffia sul fuoco Tra nuove Br, anarchici e black bloc

Ecco l’analisi dell’Antiterrorismo dopo gli scontri di Torino e l’assalto a Rinaldini: un’unica regia che vuole il conflitto sociale. Torino, botte e uova marce contro l'Ateneo: "Prova generale del G8 dell'Aquila"

Violenza in piazza, chi soffia sul fuoco  
Tra nuove Br, anarchici e black bloc

Gli esperti dell’Antiterrorismo analizzano da mesi la ritrovata effervescenza di più sigle para-eversive. Sono almeno una decina le strutture della galassia marxista-leninista, anarcoinsurrezionalista o più in generale «antagonista» pronte a elevare il livello di scontro sui temi caldi del lavoro, dell’economia, dalla contrattazione, del conflitto sociale. Della crisi più in generale. Frange violente senza più copertura «politica» a caccia di sponde nelle fabbriche e nel sindacato di base più muscolare. Strutture che soffiano sul malcontento cavalcando, per ora, il modello di protesta del «blocco nero» tornato di moda negli scontri in Grecia e nel G20 di Londra, pronto a ripetersi ad ogni occasione utile, come a Torino ieri, come al G8 dell’Aquila a luglio.

Formazioni oltranziste portatrici di ideologie anche contrapposte alla ricerca di un raccordo comune per rilanciare quella «dura contrapposizione» sbandierata a febbraio dai nuovi «brigatisti» sotto processo a Milano. Proprio alla luce dell’aggressione al leader della Fiom, Gianni Rinaldini, da parte dei Cobas e degli operai di Pomigliano d’Arco, gli analisti dell’antiterrorismo sono andati a rileggersi il proclama che il «prigioniero comunista» Vincenzo Sisi provò a declamare in aula in difesa delle maestranze dello stabilimento Fiat campano «bastonate dallo Stato» durante gli scontri con la polizia lungo la Nola-Villa Literno. Nel documento sottoscritto da sette militanti rivoluzionari si lanciava un assist politico agli operai di Pomigliano in lotta: «Solidarietà agli operai colpiti dalla repressione (...)» era l’esordio dell’appello bloccato sul nascere dal pm Ilda Boccassini. «Subire e stare zitti, ecco l’imperativo dei padroni rivolto agli operai (...). Piena solidarietà agli operai Fiat di Pomigliano in testa. La rivoluzione è necessaria, la rivoluzione è possibile».

E ancora: «È proprio nel contesto della crisi economica che governo e padronato applicano la solita ricetta di farne pagare i costi alla popolazione gettando nel lastrico centinaia di migliaia di famiglie con la cassa integrazione e i licenziamenti (...). Per questo non c’è altra via d’uscita positiva della crisi che il superamento, l’abbattimento del capitalismo e l’instaurazione di una società capitalista». Quelle parole, rilette e interpretate oggi alla luce di slogan che ne ricalcano la forma e la sostanza - osservano gli analisti - devono far riflettere anche in relazione alla rabbia per la recente notifica degli avvisi di conclusione indagine agli operai e ai rappresentanti sindacali della Fiat Auto di Pomigliano per i blocchi e i picchetti del 15 aprile scorso.

Parole che non sorprendono però gli esperti dell’antieversione impegnati a tenere d’occhio ciò che definiscono «le nuove progettualità eversive». Un po’ tutte le sigle monitorate puntano, infatti, a tematiche sociali care ai movimentisti della stella a cinque punte. Per dirla come l’ha detta a marzo il prefetto Carlo De Stefano, direttore dell’Ucigos, i gruppi che si rifanno agli ultimi brigatisti hanno tutta l’intenzione di cavalcare problemi caldi «come il precariato» e tutto ciò che ne consegue. Segnali di preoccupazione, come detto, non mancano. Minacce a sindacalisti e giuslavoristi, volantini nelle catene di montaggio, attentati a sedi di partito, chiamate alle armi via internet, atti vandalici.

Si va dalla resuscitata «Volante Rossa» che a marzo ha preso di mira esponenti di governo, agli attentati alle sedi di Forza Italia a Firenze e della Lega a Bologna, fino alle minacce all’economista Piero Ichino e ai proiettili recapitati dalle «cellule di resistenza proletaria» al segretario del Pd del Lazio, Roberto Morassut.

Si registra inoltre un graduale ritorno sia dei bombaroli anarchici del «Fai» e del «Fronte Rivoluzionario» sia di organizzazioni antagoniste già investigate insieme ai Carc precedentemente sfiorati da più inchieste sul terrorismo rosso. Ma è nelle fabbriche che la preoccupazione cresce poiché è qui che perdura la presenza di aree di consenso alle istanze più reazionarie. È qui che cova la rabbia pronta a esplodere.

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