Fra quattro anni, nel 2028, l'Intelligenza Artificiale varrà 43,4 miliardi di dollari nel solo settore logistica e controllo qualità dell'alimentare: oggi, secondo il colosso delle valutazioni PwC, il settore supera a malapena 8 miliardi. A guidare il mercato globale è il Nord America, con 3,7 miliardi, seguito dall'Europa (2,2 miliardi) e dall'Asia Pacifico (1,7 miliardi). Le previsioni di PwC paiono puntuali, e tuttavia è lecito dubitare della loro precisione, considerato che la portata dei cambiamenti che l'IA è in grado di produrre è tale da rendere difficile proiettare un quadro politico, economico, sociale e normativo capace di trasformare tali mutamenti in sviluppo e benessere diffuso. Certo è che, applicando il moltiplicatore del settore alimentare alle più svariate produzioni, si arriva facilmente a valori con un numero di zeri enorme. Si pensi che solo OpenAI sta raccogliendo 7 trilioni di dollari con l'obiettivo di rivoluzionare i modelli di business. Naturalmente di qui a dire che sarà solo benessere, come pensa Sam Altman, ce ne corre. Intanto va osservato che ciò dipenderà molto dalla sfida normativa, visto che i principali attori in campo non sembrano avere le stesse idee. Per esempio, gli Stati Uniti, con il recente ordine esecutivo dell'amministrazione Biden, riflettono un approccio co-regolatorio in sintonia con le grandi industrie, mentre la Cina mantiene la propria visione dirigista. In mezzo si trova l'Europa, che riafferma il proprio paradigma regolatorio, pur esponendosi al paradosso di voler normare anche quello che non produce o su cui non ha il controllo. È impossibile, del resto, non vedere che, nel nuovo assetto internazionale che va costruendosi intorno al predominio tecnologico, al Vecchio Continente spetta un ruolo marginale. Troppo occupata dalle proprie sfide interne, l'Unione europea ha perso competitività e non ha una capacità di investimento paragonabile a quella di Cina e Stati Uniti, anche a causa dell'assenza di una politica industriale comune. In un mercato come quello dell'IA, condizionato da economie di scala sui dati e da un altissimo consumo energetico, un'Europa frammentata e con un alto costo dell'energia rischia di perdere ulteriore terreno. Alcuni casi di successo, ad iniziare da quello francese, dimostrano che, in un comparto in continuo sviluppo, l'Europa potrebbe avere comunque una possibilità di rilancio. Ma ciò deve avvenire con una politica industriale coerente, finalizzata a stimolare gli investimenti e l'innovazione, soprattutto in un regime di aiuti di Stato meno punitivo. A sua volta l'Italia sconta al momento politiche frammentate e investimenti che rimangono al di sotto della media necessaria, eppure avrebbe più di un argomento per battersi con successo grazie alle proprie eccellenze industriali. In che modo? Il suggerimento è persino banale: usando la tecnologia per minimizzare i costi attraverso il ricorso a copie digitali dei prodotti (digital twins) che permettono di procedere per errori e verifiche minimizzando tempi e costi. Peraltro, i digital twins offrono ampi campi di applicazione, ad iniziare da quello sanitario dove possono contribuire allo sviluppo di una medicina personalizzata.
Si tratta di esempi che mostrano come l'IA possa avere, nel futuro immediato, un impatto davvero significativo sulla quotidianità dei cittadini. Del resto, rivoluzionando le strutture del sapere, le intelligenze artificiali avranno un ruolo enorme nello stravolgere vari processi sociali ed economici, iniziando dai paradigmi nel mondo del lavoro.
I mutamenti previsti saranno rapidi ed epocali, con l'emergere di nuove mansioni e un'evoluzione sostanziale di quelle attuali, dove nel giro di pochi anni la metà del tempo di lavoro potrà essere svolto in affiancamento fra competenze umane e IA. Di grande rilievo sarà la figura del data scentist: portatore di competenze all'intersezione tra statistica, informatica e conoscenza di dominio, egli già oggi è punto di riferimento per il trattamento dei dati e l'estrazione di informazioni che possono portare valore all'organizzazione. In ogni caso, come profetizzava qualche anno fa il World Economic Forum di Davos, l'85% dei posti di lavoro che esisteranno nel 2030 non è stato ancora inventato.
Gestire una tale rivoluzione richiederà fortissimi interventi nel sistema formativo, fin dalle prime fasce di età scolare, ma anche nella cultura aziendale, ad iniziare da quella delle piccole e medie imprese che ancora, in molti casi, stanno prendendo le misure con queste nuove applicazioni. Cambierà anche la percezione del lavoro: la sfida politica a livello globale sarà di usare le potenzialità dell'IA non per sostituire manodopera, ma per liberare potenziale creativo nelle organizzazioni, sgravando i lavoratori dai compiti più alienanti.
Una grande incognita è però l'impatto che l'IA avrà sulla formazione dell'opinione pubblica e sulla diffusione delle notizie. La crisi dei media tradizionali e la moltiplicazione delle piattaforme social come fonte di informazione, aumenteranno i rischi di polarizzazione della società. Assisteremo probabilmente a una crescita esasperata di fake news, che innescherà un circolo vizioso in cui l'IA inonderà il web di contenuti pericolosi di cui poi finirà per alimentarsi. Non è solo un timore, sta già accadendo.
Insomma, la rivoluzione dell'IA, oltre a essere epocale, è anche cruciale per il futuro delle democrazie.
Comprenderne la portata è il primo passo per gestire il cambiamento e impiegare le enormi potenzialità in un'ottica di benessere collettivo. «Trattiamo l'IA come i pastori trattano le pecore - ha osservato saggiamente Luciano Floridi, filosofo presso la Yale University -. Vanno curate, tosate, ma guai a lasciarle da sole in un giardino di rose».
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