Scusate ma oggi sono senza voce». Edmondo Bruti Liberati, procuratore della Repubblica, somatizza così il pasticcio in cui il suo ufficio è stato catapultato da uno scoop dell’Espresso, accusato senza troppi giri di parole di avere insabbiato una indagine potenzialmente devastante per la giunta di Giuliano Pisapia, la maggioranza di sinistra che dal giugno scorso governa Milano. Per ventiquattro ore, sull’esistenza di un’inchiesta sulla privatizzazione del 30 per cento di Sea, la società che gestisce gli scali di Linate e Malpensa, in Procura si è detto di tutto: l’indagine non c'è, non ne sappiamo niente, non si sa chi ce l’abbia, c’è ma non riguarda un reato, c’è ma non possiamo dirvi niente. Un palese imbarazzo, condito di polemiche e divisioni interne alla Procura, fino alla svolta finale: l’inchiesta c’è. Ma rimane la sensazione che se non ci fosse stato lo scoop dell’Espresso, il fascicolo sulla Sea sarebbe rimasto forse a giacere ancora per chissà quanto.
L’inchiesta c’è: una indagine a carico di ignoti per turbativa d’asta, reato 353 del codice penale. A carico di ignoti, ma il novero dei possibili sospetti non è vasto. Perché a volere a tutti i costi fare cassa con la cessione del pacchetto di Sea furono l’assessore al Bilancio Bruno Tabacci e una parte del Pd milanese. Nella notte del 15 novembre il consiglio comunale varò la delibera che avrebbe portato il pacchetto Sea nelle mani di Vito Gamberale e del fondo F2i. Esattamente come Gamberale si era fatto promettere quattro mesi prima, in una telefonata intercettata dalla Guardia di finanza di Firenze con un uomo del Pd: è questa la telefonata, trasmessa per competenza dalla Procura di Firenze, che è rimasta a giacere per quattro mesi nei cassetti della Procura di Milano, affidata prima al procuratore aggiunto Francesco Greco, poi al pm Eugenio Fusco, poi tornata al capo Edmondo Bruti Liberati, e approdata solo ieri al destinatario naturale, Alfredo Robledo, titolare del pool dei reati contro la pubblica amministrazione.
Chi sia l’interlocutore di Gamberale, l’uomo che gli assicura che a Milano la gara verrà fatta per finta, ancora non si sa. «Non mi ricordo, parlo con cento persone al giorno», dice ieri di buon mattino al Giornale Gamberale, «e comunque la gara per Sea fu regolarissima». Ma poco dopo succede una cosa imprevista: negli uffici di Gamberale presso F2i arriva la Guardia di finanza, che li perquisisce e consegna al businessman un avviso di garanzia per corruzione spiccato dalla Procura di Firenze. È un’altra storia, un’altra inchiesta: una stecca pagata su una bretella autostradale mai realizzata. Ma la cosa curiosa è che insieme a Gamberale viene indagato per corruzione un ex assessore regionale toscano, Riccardo Conti, uomo forte prima dei Ds e poi del Pd, fino a pochi mesi fa responsabile nazionale Trasporti del Pd. È indagando su questa storia che la Procura di Firenze si è imbattuta nella telefonata in cui si parlava della Sea, che ha subito trasmesso per competenza a Milano.
Così sorge un dubbio: è per caso Conti l’interlocutore che ha garantito a Gamberale il via libera del Pd per lo sbarco in Sea? «Impossibile - risponde Conti, interpellato dal Giornale - io di cosa accade a Milano non so praticamente nulla». Ma la risposta non dissipa i dubbi, perché subito dopo arriva un comunicato di Gamberale che rivela un dettaglio che finora non era proprio noto: «Riccardo Conti è dal 2010 nel Consiglio d’amministrazione di F2i su designazione di un’azionista». Quale sia questo azionista Gamberale non lo dice, ma si tratta della Fondazione Monte dei Paschi di Siena.
Riassumendo. 1) La giunta di sinistra di Milano cede un robusto pacchetto di azioni pubbliche ad una società nel cui cda siede un dirigente nazionale del Pd, principale partito della coalizione che sostiene Pisapia. 2) Si scopre adesso che il presidente di questa società aveva ricevuto quattro mesi prima della delibera ampie garanzie sul fatto che la gara d’appalto sarebbe stata fatta su misura per assicurare la vittoria dell’asta. 3) La Procura di Milano riceve uno spunto prezioso per indagare in questa direzione ma non fa nulla per quattro mesi, lasciando che la delibera venga approvata, e esce dalla trance solo quando l’affare finisce sui giornali.
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