nostro inviato a Messina
La storia di Ruby, tale e quale, un anno prima. Una storia inedita, tenuta nascosta dagli inquirenti, da leggere dunque con estrema attenzione. Dopo averla raccontata in dieci pagine di verbale alla polizia di Messina, l’amica del cuore della minorenne marocchina la ripete in esclusiva al Giornale . Lo sfogo di Graziana Cubeta, titolare di un’agenzia di marketing e moda sullo Stretto, arriva di getto. Tutto d’un fiato: «In questi mesi sono arrivati a offrirmi fino a 40mila euro per un’intervista su Ruby. E se non ho mai aperto bocca è perché credevo bastasse quel che avevo riferito, nei dettagli, in un drammatico interrogatorio durato 13 ore. Col passare del tempo, però, ho visto che uscivano verbali, intercettazioni, articoli che descrivevano Ruby per quello che non era, e mai un accenno a quel che avevo raccontato io insieme a quel padre di famiglia che si era preso a carico la ragazza per salvarla dalla strada. Evidentemente la nostra verità non faceva comodo a chi vuole dipingerla per forza come una ragazzina di facili costumi. Ora vi dimostro che Ruby non è, non può essere, una prostituta».
Da dove cominciamo?
«Dal nostro primo incontro, in un locale di Messina. Primi mesi del 2009. Ruby mi viene presentata da una signora che gestisce un centro estetico e che conosco perché le avevo curato la pubblicità del negozio. Non so perché ma con quella ragazza nordafricana, bellissima, entro subito in confidenza. Parliamo a lungo, fino a quando mi prende da parte e mi confida di essere terrorizzata: “Ti devo parlare, voglio fidarmi, non ho scelta. Sento che sei una brava persona, devo raccontarti delle cose orribili. Non conosco nessuno, aiutami, ti prego”».
Che cosa le raccontò?
«L’esordio è una bugia: mi dice di essere egiziana e che è qui in vacanza. Poi, successivamente, si apre sempre più aggiungendo che è musulmana, marocchina e minorenne. Ci resto di sasso per la minore età perché le dò minimo 23-25 anni. Mi confessa d’aver subìto molestie, violenze inaudite dal padre, e che per questo motivo è scappata di casa. Ammette che a tutti dice qualche bugia e di essere maggiorenne perché sennò non trova lavoro, e quel poco da fare che trova lo deve sempre abbandonare perché tutti le saltano addosso. Non ha un tetto, due soli vestiti in una busta di plastica, mai un euro in tasca, a volte dorme sulle panchine o nei parchi. Insomma, si muore letteralmente di fame. “Aiutami, ti prego”. Mi racconta tutta la sua vita, intimamente, senza freni. Dell’olio bollente in testa, delle frustate sulla schiena di cui esistono le foto scattate dai medici. Delle botte prese perché ha deciso di cambiare religione. Lo stesso identico racconto che ha fatto nell’intervista a Signorini in tv. Domandatevi.
Che motivo avrebbe avuto di mentire, in tempi non sospetti, a me che non sono nessuno e per di più una persona che in modo disinteressato le sta dando una mano? Non mentiva, ne sono sicurissima. Tornando a quel periodo, mi fa subito una gran pena, giuro. Decido di aiutarla d’accordo con mia madre e con una bravissima persona, un padre di famiglia, che insieme a sua figlia in un secondo momento la ospita a casa».
Torniamo alla prostituzione. Perché, a suo dire, Ruby non può averla esercitata?
«Ci sto arrivando. Tra le lacrime Ruby confessa che la donna che gestisce il centro estetico dove lei lavora l’haripetutamente invitata a prostituirsi in feste e case private di gente facoltosa.Mi giura d’essersi sempre rifiutata di fare sesso a pagamento perché, solo l’idea, la fa vomitare. Preferisce morire di fame, come effettivamente si moriva, piuttosto che cedere. Se solo si fosse venduta, tanto era bella e richiesta a Messina, sarebbe diventata presto miliardaria. E invece niente. Eppoi era sotto ricatto: perché non avendo un tetto Ruby dormiva nel centro estetico. “Aiutami a scappare...” ripeteva».
Ma lei alla polizia ha raccontato anche queste cose?
«Questo e quello che ora le dirò. Basta andare a prendersi il verbale. È tutto lì».
Continui.
«Un giorno Ruby scappa dal centro e si presenta a casa mia. Io chiedo aiuto a un amico dei miei genitori perché lei è minorenne. Per quello che posso fare le compro qualche vestito visto che non ha neppure le mutande, le offro un letto, da mangiare, la mia amicizia. Presto però iniziano strane telefonate anonime e minatorie. Ruby poi casca in un tranello teso dalla sua ex datrice di lavoro che, a sua insaputa, l’ha denunciata per il furto di un bracciale rivenduto, sempre a detta della donna, per comprarsi vestiti e borse griffate: all’appuntamento Ruby però trova la polizia che la trascina in questura anche perché priva di documenti (che il padre le aveva sequestrato). Da qui mi telefona in preda alla disperazione. Con l’amico dei miei genitori ci precipitiamo da lei e...».
Sembra di rivedere la Minetti...
«Faccia lei. La trovo in lacrime, che trema. Quando mi vede mi abbraccia e non lascia la mano un secondo. Spiego a chi la sta interrogando che era impossibile quel che raccontava la proprietaria del centro estetico, che evidentemente aveva paura di quel che Ruby mi potesse raccontare sulle pressioni a prostituirsi. Dimostro facilmente che la ragazza vive con un amico dei miei genitori (che firmerà anche una sua deposizione), che non ha mai avuto un centesimo e che se solo avesse davvero rubato il bracciale coi soldi avrebbe potuto comprarsi vestiti o fare la bella vita, e invece vive dei 20 euro al giorno che le regalo. Alla polizia Ruby ha il coraggio di denunciare le pressioni di quella donna, ma al tempo stesso è terrorizzata all’idea di finire nuovamente nella comunità di delinquenti e drogati da dove era già scappata».
L’hanno rilasciata?
«Sì, dopo l’intervento di alcuni politici da me interpellati. L’indomani la mandano in una casa di accoglienza di ragazze madri, un ambiente decisamente più tranquillo. Ma per lei era come stare in un carcere. Per questo, dopo due mesi, scappa. Senza dirmi una parola. Ci sono rimasta male, ma poi ho capito la sua scelta, la sua voglia di vivere, di emanciparsi, di diventare una ballerina. Quando ho sentito il suo nome in tv per poco non cado alla sedia. Non ci volevo credere.
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