Da dieci anni l’inflazione devasta le economie occidentali. Nelle previsioni degli esperti, il 1974 sarà - forse con qualche importante eccezione - peggiore del 1973. L’Italia è coinvolta dal fenomeno nella forma più grave, detenendo il primato della degradazione monetaria. Le conseguenze sono inapprezzabili: ne va della struttura stessa di una società caratterizzata dalla più alta abitudine al risparmio, dopo il Giappone. L’accumulazione familiare diventa un vizio insulso, profilandosi la generale proletarizzazione e la forza crescente del sindacato, unico garante dell’avvenire. A sopravvivere sarebbe soltanto la «borghesia di Stato».
Su questi temi e sulle politiche monetarie responsabili dell’inflazione o, al contrario, capaci di arginarla, la Banca Commerciale Italiana e l’Istituto di economia politica dell’Università Bocconi hanno invitato a convegno, a Milano, nomi eminenti della dottrina, delle banche centrali, del mondo finanziario (...).
Il primo quesito cui il consesso di studiosi e di pratici è chiamato a rispondere riguarda la terminologia. Si parla di «nuova inflazione». Ma che cos’ha di nuovo il fenomeno per meritarsi questo attributo? Il suo carattere universale, forse, dato che nessun Paese ne è immune? O piuttosto l’alto tasso della degradazione monetaria, considerandosi ormai normale o addirittura virtuoso un aumento dei prezzi contenuto all’8% annuo?
Per Albert Burger - e lo citiamo a capolista perché esprime il punto di vista più conservatore - la nuova inflazione non ha nulla di nuovo, fuorché l’irresponsabilità, l’impotenza o la convivenza di governi sempre più debilitati, i quali, pur di apparire sociali o socialisti, ingannano l’opinione pubblica. Non è discutibile infatti - spiega Burger rifacendosi all’esperienza degli Stati Uniti - che se l’amministrazione federale moltiplica la fornitura di servizi e provvidenze alla collettività, assorbendo quote crescenti del prodotto nazionale, di altrettanto dovrebbe ridursi la parte residuata per i privati: quando i privati non vogliano, attraverso il meccanismo della tassazione, sopportare i sacrifici che ne conseguono, non rimane altra via per pareggiare il conto che ricorrere all’artificio di aumentare la quantità di moneta.
Così tutti sono contenti: ma l’inflazione s’impenna, perché i mezzi monetari crescono più abbondantemente che la produzione di beni. Non si può volere l’impossibile. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo, perché si teme l’impopolarità. E quale banca centrale potrebbe fare una politica monetaria che vada contro la politica del governo in materia fiscale e di spesa pubblica? Così il problema dell’inflazione va cambiando natura: non è più questione di combatterla, ma di vedere in qual modo si può convivere con essa. E qui, conclude Burger, sta il vero pericolo: ci stiamo assuefacendo all’inflazione. Essa rischia di diventare il poputchik, il compagno di strada, delle economie dette evolute.
(...) Il ministro del Tesoro, Emilio Colombo, ha descritto le «prospettive pesanti» dell’inflazione italiana. Abbiamo il record dell’aumento dei prezzi, un imponente squilibrio di bilancia dei pagamenti che rischia di ragguagliarsi a 7mila miliardi di lire in termini di anno, una forte perdita di competitività nell’esportazione, una spesa pubblica non produttiva che cresce in misura di 3.400 miliardi annui (...). Ristabilire gli equilibri - ha aggiunto Colombo - sarà un’operazione dolorosa e implicherà discussioni difficili, trattandosi di incidere «su un costume di vita e su posizioni di apparente benessere». Gli obiettivi sono stati definiti: assorbire dal sistema mezzi monetari per 3.000 miliardi mediante inasprimenti fiscali, parafiscali, tariffari; eliminare il deficit non petrolifero dalle partite correnti della bilancia dei pagamenti; ricondurre il tasso di aumento dei prezzi alla media internazionale.
Gli strumenti sono stati apprestati per la compressione della domanda di consumi privati (52mila miliardi nel 1973) e specialmente di quelli a più alto tenore d’importazione; e per proporzionare i sacrifici alle condizioni di reddito dei cittadini.
Se questo programma troverà attuazione, sarà possibile garantire l’alimento creditizio alla produzione nel volume necessario all’espansione e sotto il controllo del Comitato del credito, avuto riguardo all’andamento dei prezzi e dei conti esteri.
Ma il successo o l’insuccesso dipendono dal grado di collaborazione e dal senso di responsabilità del Parlamento, del governo, delle imprese, dei sindacati: dall’«italianità» - ha concluso Colombo - che le forze politiche e i gruppi sociali sapranno dimostrare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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