Michele Bonuomo: "Così valorizziamo i giovani artisti"

Il direttore del Premio Cairo presenta la 23esima edizione del concorso dedicato ai nuovi talenti

Ferdinando Scianna
Ferdinando Scianna
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Saranno famosi? Oppure, parafrasando le visioni distopiche di Philip Dick, tutti quei momenti andranno perduti come lacrime nella pioggia? Soltanto al tempo galantuomo l'ardua risposta, ma una cosa è certa; in un sistema dell'arte che in Italia certo non aiuta la valorizzazione, o semplicemente l'emersione, dei nuovi talenti, il Premio Cairo rappresenta da 25 anni un'opportunità concreta, quella di un palcoscenico democratico per i giovani artisti di qualità cresciuti nel Belpaese, dunque anche stranieri, indipendentemente dal loro curriculum e dalle regole del mercato. Il giornalista Michele Bonuomo, direttore del mensile Arte e del Premio, crede fortemente nel primato e dell'unicità dell'opera, anche in un'era in cui la riproducibilità tecnica dell'arte rischia di essere superata dall’intelligenza artificiale. E la qualità delle opere resta l’unico parametro con cui il comitato scientifico seleziona anche quest’anno i venti finalisti che saranno esposti al pubblico dal 15 al 20 ottobre. Sia chiaro, ammonisce Bonuomo, «che La bellezza ha smesso di rappresentare il codice primario nella valutazione di un'opera, perchè i linguaggi artistici mutano e a volte prescindono dal background esperienziale dello spettatore; ma il fascino irresistibile dell’arte sta proprio nell’abbandonarsi ad un viaggio di cui non si conosce la stazione di partenza ma non quella di arrivo».

Sarà un ritorno, quello del Premio Cairo a Palazzo della Permanente, anche perchè mai genius loci può dirsi pregnante in un luogo il cui statuto si fonda proprio sulla cooperazione e la promozione di artisti e che nella sua storia annovera protagonisti illustri come Francesco Hayez, Gaetano Previati, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Umberto Boccioni e Mario Sironi, soltanto per fare qualche nome rimasto scolpito negli annali. E dei giovani passati dal premio Cairo in questo quarto di secolo che cosa resta? «Su 450 partecipanti al premio, almeno un terzo di loro - sottolinea Bonuomo - ha intrapreso una brillante carriera artistica, partecipando a Biennali e mostre pubbliche in giro per il mondo. Per noi critici, invece, questo è un osservatorio prezioso per individuare artisti autentici nel panorama italiano». Qualche esempio? «La vincitrice della ventunesima edizione, Giulia Cenci, ha avuto anche la soddisfazione di essere selezionata dalla scorsa edizione della Biennale veneziana. Il premio, però, lo aveva vinto prima...».

Condizioni essenziali del premio Cairo: solo artisti under 40 e opere rigorosamente inedite. «Sentiamo il dovere di sostenere i giovani artisti che oggi sono più soli rispetto al passato» sottolinea Bonuomo. «Le gallerie, fino a un recente passato punto di riferimento insostituibile, si sono trasformate in temporary shop, almeno nel 90 per cento dei casi». Un termometro di questa involuzione sono le stesse fiere, moltiplicatesi a dismisura negli ultimi decenni ma inversamente proporzionali all’interesse per la ricerca. «Prendiamo Art Basel, la fiera più blasonata del pianeta e che seguo fin dal suo esordio. Ci si recava con l’emozione e la certezza di scoprire il presente e il futuro dell’arte nel mondo; oggi, invece, tutt’al più troviamo i capolavori degli anni ’90. La logica del business ha prevalso». E la rete? E il digitale che oggi pervade ogni angolo del vivere? Anche per gli artisti, piattaforme specializzate e instagram sono diventati un rifugio alternativo alle gallerie. «Ecco la solitudine di cui parlavo, i social purtroppo sono una falsa comunità e le esposizioni digitali valgono per un consumo instantaneo». E poi, dopo la bolla degli Nft, gli artisti emergenti si confrontano (anche loro) con l’intelligenza artificiale.

«Bisogna osservare queste ricerche senza pregiudizi, nella consapevolezza che il tempo è galantuomo e alla fine è sempre l’autenticità del pensiero che prevale. In fondo anche quando nel 1837 apparve la fotografia, intellettuali come Baudelaire vi si scagliarono ferocemente. Poi si ricredettero».

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