Morand: "Si è sempre fascisti di qualcuno"

Mentre la sua carriera diplomatica andava a rotoli, lo scrittore fece i conti con la storia. E con se stesso. Il "Journal de guerre" del biennio 1943-45

Morand: "Si è sempre fascisti di qualcuno"

«La vita è un microcosmo della storia» si sorprende a osservare Paul Morand. «In ciascuno di noi ci sono rivoluzioni, restaurazioni, così come sconfitte e vittorie, libero-scambio e protezionismo, regni di favorite e di favoriti, mutamenti di alleanze e trattati di pace». È il novembre del 1944 e da qualche mese non è più ambasciatore della Francia in Svizzera. Il governo che lo aveva nominato, quello di Vichy, non esiste più, quello provvisorio, di de Gaulle, che ne ha preso il posto lo ha in pratica radiato dalla carriera, revocandogli pensione e indennità; c`è una commissione d`inchiesta su di lui, per alto tradimento; il Comitato Nazionale degli Scrittori ha diramato una lista di autori da mettere al bando, e lui ne fa parte... «È un modo di vendicarsi su chi, come me, vendeva molto» commenta con ironia, ma è anche vero che quel «microcosmo» che è la sua vita a petto della storia, non offre di che rallegrarsi: «Un mese fa, avevo due auto, sei domestici, tavola apparecchiata per gli ospiti. Oggi, bevo acqua, non ho né radio né telefono, per risparmiare». Un anno dopo, l`elenco si fa più desolante: «Quattordici mesi passati a bere nel bicchiere dove tengo dentifricio e spazzolino, a mangiare nelle ciotole per gatti, a usare pentole in alluminio senza manici. Quattordici mesi di sofferenza, di malinconia, di dolore, di noia, di lacrime, di disperazione daranno un senso umano alla mia vita?». Spacca la legna, si lava la biancheria, corre per riscaldarsi, sbriciola nella pipa i mozziconi di sigaretta...

In Svizzera, Morand era arrivato dalla Romania dove, ministro plenipotenziario, si era insediato nell`agosto del 1943. L`Armata rossa è alle porte del Paese, la Romania è ancora alleata con la Germania hitleriana, ma i tedeschi si sono già arresi a Stalingrado, gli Alleati sono appena sbarcati in Corsica, dopo essere sbarcati in Sicilia, l`Africa settentrionale è nelle mani angloamericane, in Italia è caduto il fascismo e il Comitato francese di Liberazione nazionale ha annunciato la messa sotto processo del maresciallo Pétain e del suo governo, considerati illegittimi e colpevoli di intelligenza con il nemico. La carriera diplomatica di Morand, quel Morand che per tutta la sua vita l`aveva sacrificata rispetto alla sua carriera di scrittore, s`impenna e decolla proprio quando la prudenza dovrebbe consigliargli la cautela. Sono cariche inutili e sa che gli si rivolteranno conto, ma sa che non può fare altrimenti: nel `40 ha scelto Pétain e non de Gaulle, adesso non può fare, per calcolo, il contrario, anche se non sarebbe né il primo né l`ultimo: «Una volta si diceva: uno dei cinquecento che condivisero l`esilio di Luigi XVIII a Gand e uno dei cinquemila che ne tornarono. Oggi si potrebbe dire: uno dei quattromila che seguirono de Gaulle a Londra e uno dei quaranta milioni che ne tornarono».

Il Journal de guerre. Roumanie-France- Suisse 1943-1945 (Gallimard, pagg. 1042, euro 35, a cura di Bénédicte Vergez-Chaignon) è un documento storico appassionante nonché un apporto inedito alla sua stessa biografia, visto che riempie delle pagine rimaste per lo più bianche. Il secondo dopoguerra vedrà Morand impegnato a ristabilire quella dignità di scrittore che proprio l`attività diplomatica dalla parte sbagliata, ovvero dalla parte sconfitta, aveva messo in discussione, e quindi a relegare quest`ultima a semplice attività di servizio, sulla falsariga di tanti altri diplomatici. Non era esattamente così, perché dietro quello spirito di servizio c`era un contenuto politico-ideologico e l`aver puntato sul cavallo sbagliato non annullava il suo aver partecipato al gioco: «Mi sono sbagliato sui Russi. Mi sono sbagliato sull`invulnerabilità della fortezza Europa. Dopo di ciò, niente più politica. Bisogna essere modesti. Per una vita, è sufficiente. Detto questo, non ho mai detto: la Germania vincerà. Ho detto, facendo passare il sociale davanti al nazionale, se è sconfitta, è il bolscevismo. Si vedrà in seguito chi ha ragione. Se il super-capitalismo americano schiaccia l`Urss, allora mi sarò definitivamente sbagliato».

Il Journal de guerre è interessante anche per il suo essere stato scritto sul tamburo: non ci sono ritocchi, abbellimenti. Messo da parte, non fu più riaperto, ma dimenticato. «La gente arrangia sempre le proprie memorie dopo i fatti. Sarebbero meglio dei ricordi meno rifiniti e i fatti visti prima da chi li ha redatti, poter vedere se l`avvenimento che si è prodotto è stato previsto, a che livello è stato messo nel novero delle possibilità, oppure omesso...».

Sotto questo aspetto, quello, diciamo così, storico il Journal de guerre ha uno spessore limitato, nel senso che Morand registra un po` di tutto, vero e falso, documenti ufficiali e pettegolezzi, speranze e delusioni, ma gli manca uno sguardo d`insieme né ha gli strumenti e le informazioni per capire i compromessi e i bracci di ferro delle diplomazie presenti sul terreno: quella americana e quella russa, quella inglese, come quella della Francia gollista. Una sua osservazione, relativa a libro di un collega, si può applicare tranquillamente al suo diario di guerra: «Il quarto volume del Journal de la France di Fabre-Luce ha sempre l`aria di spiegare il meglio del meglio della storia più recente alla vicina di tavola nel corso di una grande cena. Mette sullo stesso piano lo sbarco in Normandia e un arresto per mercato nero».

Più interessante, è dove Morand si interroga su sé stesso. «Ho commesso un grande errore (e ne ho rammarico e sofferenza) non lasciando trapelare niente di me nei miei libri e non avendovi mai messo le persone che ho amato o ammirato, i luoghi dove sono stato felice o miserabile. Ho sempre creduto che ne avrei avuto il tempo, ho sempre fuggito per rimozione, per profondo pudore ogni espressione. È ciò che toglie alla mia opera il suo valore umano. Ho preferito il pittoresco, il divertente, lo stravagante. Da qui questa aridità e questa assenza di lettori amici».

Sulla scrittura. «Flaubert dice che il grande scrittore non deve essere un uomo d`azione. È vero, ma uno degli inconvenienti è che quando gli scrittori descrivono l`uomo d`azione, sono lontani dalla verità, a meno d`avere del genio e non è detto... Si dirà che lo scrittore scriverà tanto meglio l`azione di cui è stato privato, perché "l`opera dei grandi scrittori è una protesta contro la loro vita". Ma non è sufficiente sognare un`azione per descriverla, bisogna conoscerne gli ingranaggi. Non basta desiderare ciò che ci manca per possederlo al meglio».
Sulla vita. «La vita è una strada dalla quale bisogna continuamente togliere le pietre che vi sbarrano il cammino; soltanto, è una strada che non porta da nessuna parte».

In Svizzera, Morand si ritrovò nella condizione di esiliato. In Francia l`epurazione è in corso, ci sono processi, condanne, fucilazioni. «Bisognerà prima o poi rientrare» dice alla moglie Hélène nel giugno del 1945: «Non si può passare la propria vita in esilio». «Sarai in esilio in Francia» è la risposta e in questo Hélène vede meglio di suo marito.

Bisognerà aspettare gli anni Cinquanta perché le accuse contro il Morand diplomatico cadano e lui riabbia grado, arretrati e pensione, ma per il Morand scrittore il purgatorio sarà più lungo, visto che ancora alla fine di quel decennio l`Académie française gli sbarrerà la porta venendo incontro ai desideri di de Gaulle. La lezione che Morand ironicamente ne trae è che «si è sempre fascisti di qualcuno»...

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