Le assurde proteste fuori dal teatro nel giorno dell'opera contro la guerra

Contestazioni contro Meloni, Netanyahu, Putin... Ma in scena c'è un inno alla pace

Le assurde proteste fuori dal teatro nel giorno dell'opera contro la guerra
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Le proteste fanno parte della storia della Scala. È una tradizione. Che sembra rafforzarsi con gli anni. Per la Prima della Forza del destino di Giuseppe Verdi, fuori dal Piermarini c'è il corteo della «Rete Milano antifascista antirazzista meticcia e solidale» che manifesta contro il Governo. I Pro Pal per il cessate il fuoco in Palestina. Il gruppo «Ponte atlantico» contro la presenza di Anna Netrebko in quanto russa e sostenitrice di Putin. E gli attivisti dei centri sociali contro la guerra: in tarda mattinata davanti all'ingresso del teatro hanno srotolato un tappeto rosso su cui hanno versato sacchi di letame assieme alle immagini di Giorgia Meloni, La Russa, Salvini e del premier israeliano Netanyahu. «Abbiamo dato il fischio di inizio della Prima Popolare Antimilitare», hanno urlato.

Nel pomeriggio era già tutto ripulito. Ma restava il cortocircuito di un pacifismo ideologico che inveisce contro un evento, la Prima alla Scala, che porta in scena un'opera mai come quest'anno così forte nell'alzare il suo grido contro le guerre.

Con la volontà di attualizzare La forza del destino attraverso i conflitti, il messaggio pacifista del regista Leo Muscato - in una messa in scena, anche qui, molto tradizionale, con un palcoscenico montato su una grande ruota che gira lenta e inesorabile, come il destino - si snoda in un racconto per immagini che ripercorre le guerre nelle varie epoche: divise, moschetti, zaini e giubbotti antiproiettile sono in ogni atto. Nel primo la guerra che nel '700 vede italiani e spagnoli alleati contro i tedeschi; nel secondo le guerre nazionaliste che percorrono l'800 con i giovani che corrono ad arruolarsi, pronti a morire per il loro Paese; nel terzo la Prima Guerra Mondiale con le trincee, la Croce Rossa e gli ospedali da campo; e nel quarto il richiamo ai conflitti e alle macerie di oggi, in Ucraina o a Gaza, insomma dovunque - e il quadro è perfetto - militari armati di fucili mitragliatori distribuiscono cibo e acqua ai civili...

«La forza del destino di Giuseppe Verdi è un inno alla pace? In un certo senso...», dice ai cronisti il tenore spagnolo José Carreras fra un atto e l'altro. E persino Pierfrancesco Favino è entusiasta: «Dall'opera arriva un messaggio di pace». E per Alessio Boni è «bellissimo l'anelito alla pace».

«È bella la guerra, evviva la guerra!» cantano i soldati di Don Alvaro, Capitano dei Granatieri Spagnoli. «Pace! Pace, mio Dio!», risponde di lì a poco Leonora mentre suo fratello e il suo amato, che crede morto, stanno combattendo da qualche parte lontano.

«Andiam, dividerci il fato non potrà!». E invece.

Ci si può opporre alla Forza del destino? L'azione si svolge fra Spagna e Italia, secondo il libretto nel '700. E l'opera è incentrata sul tema dell'amore tra due non-promessi sposi: la nobile spagnola Donna Leonora (Anna Netrebko) e il principe di sangue meticcio Don Alvaro (Brian Jagde). Un legame avversato dal padre di lei, il Marchese di Calatrava (Fabrizio Beggi) e dal fratello Don Carlo (Ludovic Tézier). Il primo per fatalità e il secondo per legittima «offesa» saranno uccisi, all'inizio e alla fine del dramma, da Don Alvaro, trascinato dall'implacabile forza del suo destino - motore di odio, passione e vendetta - che non prescinde mai da quello collettivo. Ed ecco allora i protagonisti muoversi - fra dramma, melodramma e comico - attraverso le guerre, le epoche, una brulicante umanità di soldataglia, mercanti, monaci, zingare, pellegrini, questuanti e - sopra tutto e tutti - la Storia.

Poi, c'è la cronaca. Le proteste restano fuori dal teatro, e quest'anno - per una volta - anche la politica. Non c'è Mattarella, non c'è Giorgia Meloni (però è la prima «Prima» per Alessandro Giuli da ministro della Cultura). E persino il loggione ha cambiato registro. L'anno scorso hanno gridato «Viva l'Italia antifascista». Quest'anno «Salvate San'Agata», per richiamare l'attenzione sullo stato d'abbandono in cui versa la casa di campagna che fu di Giuseppe Verdi, a Villanova sull'Arda.

Negli intervalli, che in una Prima sono i momenti più interessanti, si incontra - anche qui, come in scena - una varia umanità: chef Barbieri, Achille Lauro, Alessandro Baricco, Tamberi, Bolle (sarebbe notizia se non ci fosse), Maurizio Lupi che dicono faccia già le prove da sindaco di Milano, Botta, Boeri, leghisti e vecchi democristiani. Tutti sorridenti.

E anche La Russa e Liliana Segre, in quest'anelito di fratellanza, nel Palco Reale sono seduti vicini. Come sono vicini, alla fine (e non è un paradosso) chi contesta e chi è contestato. I primi protestano contro la guerra, i secondi alzano un inno alla pace.

E alla fine sono dodici minuti di applausi.

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