Caro Federico,
Gesù Cristo diceva: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». E queste parole ben si adattano alla faccenda in questione. È stato orribile vedere una detenuta con mani e caviglie legate, trovo che tale trattamento sia ingiusto, a prescindere, come tu ben sottolinei, dai reati che vengono contestati a Ilaria Salis. Non intendo infatti addentrarmi nel merito. Piuttosto vorrei compiere alcune considerazioni, stimolato anche dalle tue osservazioni sul punto. Come milioni di italiani, me incluso, pure tu inorridisci alla vista di Salis trascinata con gli arti imprigionati. Neppure io ho gradito tale spettacolo indecente. Eppure ritengo che noi italiani non possiamo di sicuro giudicare i sistemi penitenziari degli altri Stati del continente europeo, dal momento che i nostri istituti di pena soffrono della problematica del sovraffollamento che costringe i detenuti a vivere ammassati dentro celle di pochi metri quadrati, tanto che l'Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea dei diritti umani per trattamenti inumani e degradanti nelle carceri. Le nostre prigioni sono tra le peggiori in Europa.
Agli smemorati o ai distratti vorrei fare presente altresì che soltanto due mesi fa, ossia nel novembre del 2023, la Corte di Strasburgo ha condannato il nostro Paese per avere violato l'articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello relativo alla tortura oltre che al trattamento disumano e degradante, a causa delle condizioni patite dall'ergastolano Francesco Riela, il quale non avrebbe ricevuto cure mediche tempestive e adeguate durante la sua detenzione, cosa che a sua volta ha prodotto al ristretto ulteriori patimenti fisici e mentali. Il diritto alla salute non è forse un diritto fondamentale? Bene. Talvolta nemmeno questo viene garantito, a quanto risulta.
La Corte europea dei diritti umani ha rilevato già lustri addietro che nelle carceri italiane il sovraffollamento costituisce un problema strutturale, non una semplice eccezione temporanea. Sono centinaia i ricorsi all'esame della Corte. Dunque, se noi rinchiudiamo una decina di individui in una gabbia di pochi metri quadrati e adatta ad ospitare due o tre persone, togliendo a questi soggetti il minimo spazio vitale, non stiamo anche noi realizzando un abuso? Forse si tratta addirittura di un abuso ben peggiore rispetto a quello di cui diciamo vittima la nostra cittadina attualmente detenuta in Ungheria.
Non possiamo dunque scagliare quella pietra contro l'Ungheria, in quanto non siamo migliori degli ungheresi su questo fronte, non siamo più civili, non siamo più umani. Si tenga conto anche del fatto che da noi vige ancora il regime del carcere duro, che avrebbe dovuto essere momentaneo ma che pure ha assunto un carattere permanente. Il 41 bis comporta l'adozione di misure gravemente afflittive, di cui ho difficoltà a cogliere il senso oltre che lo scopo. Infatti, a cosa serve vietare ad un detenuto di potere leggere un libro o di potere tenere la fotografia dei propri cari appesa al muro decrepito e gelido della propria cella?
Te lo dico io, non serve a nulla se non a rendere l'esistenza quotidiana del carcerato un vero e proprio inferno a cui egli giunge a preferire la morte. E questo contraddice la finalità stessa della detenzione, che, in base alla nostra Costituzione, dovrebbe essere rieducativa e non mortificante e punitiva.
E cosa dire dei condannati che hanno scontato anni o decenni dietro le sbarre per poi essere dichiarati innocenti? Penso, ad esempio, a Giuseppe Gulotta, il quale negli anni Settanta confessò sotto tortura un delitto mai posto in essere ricevendo una condanna all'ergastolo, salvo poi essere riconosciuto estraneo ai fatti intorno al 2015 in seguito alle dichiarazioni rese ai magistrati da un ex brigadiere che raccontò che la confessione era stata estorta per mezzo di metodi quali simulazioni di annegamento, elettroshock, pestaggi e minacce di morte.
Intanto Gulotta ha trascorso una esistenza intera in gattabuia con il marchio di omicida sulla pelle e i 6 milioni di euro con i quali lo Stato lo ha risarcito non possono restituirgli il tempo che gli è stato sottratto.Prima di dare lezioni di civiltà agli altri, assicuriamoci di osservare per primi quello che pretendiamo di insegnare.
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