Tutti possiamo essere angeli, cioè somigliare un po' a Dio prendendoci cura degli altri. Ma lasciando da parte le cose futili

Ad un angelo si chiede: illumina, custodisci, reggi, governa me che ti fui affidato dall'amore infinito ("dalla pietà celeste"). A chi siamo affidati? A chi ci siamo affidati? Chi si affida a noi?

 Tutti possiamo essere angeli, cioè somigliare un po' a Dio prendendoci cura degli altri. Ma lasciando da parte le cose futili
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"Ognuno vale quanto le cose a cui dà importanza" insegnava l'imperatore romano Marco Aurelio. Una mamma mi ha detto: «Sono venuta ad accompagnare mio figlio perché deve confessarsi. Non ha potuto esserci con i suoi compagni di catechismo allora recupera adesso. Però prima faccio io così gli fa meno senso e ha meno paura». A parte il fatto che non ho mai morso alcuno e pur considerando come tara la tipica preoccupazione materna di assaggiare la medicina amara prima del figlio per aiutarlo a trangugiarla, la signora mi ha fatto pensare a mia nonna e a mia mamma. Non le ho mai sentite dire «vai a confessarti perché devi!» né a me (qualcuno dirà: «va beh! poi sei diventato prete!») né ai miei fratelli. La loro espressione era: «Io sono stata a confessarmi perché per me è importante». In casa mia non ci sono mai state preghiere insieme o espressioni religiose esplicite, ma la condivisione nel rispetto delle convinzioni personali. Una prospettiva educativamente diversa: non di imposizione ma di testimonianza.

Questo ricordo personale mi piace collocarlo sulla riga del calendario che riporta oggi la festa dei Santi Arcangeli. Abbiamo bisogno di qualcuno che non solo ci protegga dal male, ma soprattutto che sia testimone di bene, cioè che al posto di un rassegnato male minore ci aiuti a scegliere un entusiastico maggior bene possibile. Chi è capace di fare questo è un angelo, perché fa come fa Dio: la sua potenza è il prendersi cura. Questo concetto è nascosto nei nomi degli Arcangeli. In ebraico significano: Michele «chi è come Dio», Gabriele «Dio è potente», Raffaele «Dio si prende cura e guarisce». La stessa verità viene ripetuta tra qualche giorno, mercoledì 2 ottobre, nella festa degli Angeli custodi. Per questo motivo la memoria degli angeli custodi è diventata la festa dei nonni e di chi lavora per il bene comune. Infatti San Michele arcangelo è patrono della Polizia di Stato.

Ad un angelo si chiede: illumina, custodisci, reggi, governa me che ti fui affidato dall'amore infinito («dalla pietà celeste»). A chi siamo affidati? A chi ci siamo affidati? Chi si affida a noi? Il prendersi cura è proprio lo stile degli angeli, anche di quelli in carne e ossa che ci stanno accanto. Ciascuno lo può essere. La vera tragedia non è tanto la malvagità dei cattivi, quanto piuttosto la futilità inconsistente dello stile dei buoni. Allora, angelo è chi illumina le azioni, lasciando con le sue mani impronte luminose. Angelo è chi custodisce i passi alla ricerca del bene per andare sempre oltre. Angelo è chi regge e cor-regge la vista, per aprire orizzonti e vincere le cataratte delle piccinerie meschine e irose. Angelo è chi governa le scelte pensando a chi lui è affidato e a chi è affidato a lui come dono.

Mi è rimbalzata nel cuore l'immagine del grembiule di mia nonna. Primo scopo era proteggere i vestiti sotto: il bello va tutelato, non poteva essere sciupato o macchiato. Serviva poi da guanto per togliere la padella dal fornello. Se il fuoco diventava debole il grembiule si faceva soffietto e ravvivava la fiamma. Serviva poi a trasportare frutta e verdura. Era perfetto per pulire le manine sporche e per nettare il tavolo all'arrivo di un ospite. Quando qualcosa non andava era rifugio in cui trovare riparo. Era strumento di attacco contro insetti e animali nemici, ma anche contro capricci e lazzaronate: scacciava tutto ma sempre e solo come un guanto di velluto che avvolge un pugno forte di premura. Infine, dalle tasche del grembiule usciva sempre ciò di cui c'era bisogno: un fazzoletto candido per asciugare le lacrime, una bobina di filo con ago perché tutto si poteva aggiustare, una caramella che vinceva miracolosamente ogni dolore. Soprattutto quel grembiule custodiva una bacchetta magica: la mano rugosa, callosa, tremante della nonna che con una carezza insegnava a dire: «Io sorrido lo stesso». Quel grembiule non lo usa più nessuno, ma non c'è invenzione o app che riesca a rimpiazzarlo.

Una canzone di Ron diceva: «Tutti quanti abbiamo un angelo. Ma come non hai mai sentito cantare il tuo angelo?». Sono convinto si possa dire anche «tutti quanti possiamo essere un angelo» proprio perché ognuno vale quanto le cose a cui dà importanza.

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