Il Colosseo, statistiche alla mano, è il monumento più visitato d'Italia, seguono il Canal Grande di Venezia e la cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze. Il tipico turista straniero intento a fare il Grand Tour per lo Stivale, emulando le gesta di Johann Wolfgang Goethe, non può non marcare visita in queste tappe che rappresentano al meglio i tesori storico-artistici del Bel Paese. Il viaggiatore, una volta rientrato a casa, riguardando il rullino di foto delle proprie vacanze, resterà - senz'altro - di stucco nello scorgere in almeno ogni scatto, un inaspettato soggetto: una macchina squadrata, goffa ma simpatica. Sa nascondersi bene nel paesaggio, diventando essa stessa parte del panorama. È parcheggiata in un angolo, in un vicolo, è ferma al semaforo; in poche parole è dovunque. Quella piccola scatoletta rappresenta l'Italia come una pasta cacio e pepe, colei di cui stiamo parlando è la Fiat Panda. Un simbolo tricolore, un oggetto che si è insinuato nelle case degli italiani con prepotenza, spesso anche senza chiedere il permesso. Quasi ogni famiglia ne ha avuta una, o, quanto meno ha pensato di procurarsela. La Panda è un biglietto da visita, tutti la conoscono, ed è un cliché italiano all'estero. Per conquistare questa fama, significa che il segno lo ha lasciato, eccome, nella storia dell'industria a quattro ruote nostrana (e non solo).
Genesi della Panda
Sono tempi di magra in casa Fiat alla fine degli anni Settanta, il mercato delle utilitarie parla soprattutto francese. La 126 non riesce a fermare l'emorragia, risulta troppo piccola rispetto a una Renault 4, o, a una Citroen 2CV. Gli italiani riscoprono, ancora una volta, che l'erba del vicino è sempre più verde. Tra l'altro, le due vetture transalpine si distinguono per avere quattro porte e la trazione anteriore. La torinese, invece, ha sia la trazione che il motore collocati posteriormente, mentre gli sportelli sono soltanto due. Serve un intervento rapido per riportare le automobili del Lingotto in auge, però, non c'è molto tempo. È necessario un colpo di genio. Ci vogliono tutto l'ingegno e la fantasia italiana nel sapersi arrangiare, per sovvertire un fato nebuloso. Il team di progettisti della Fiat lavora senza sosta, mentre l'azienda ha a che fare con turbolenze sindacali da non chiuderci occhio la notte. Il progetto della nuova "superutilitaria" viene affidato alla Italdesign di Giorgetto Giugiaro, che in una manciata di settimane indovina la strada giusta da seguire. Parte lo studio di un autotelaio a trazione anteriore, che possa avere tre o cinque porte. Quest'ultima soluzione viene, poi, scartata. Nel 1978, in gran segreto, la Fiat "progetto 141" viene svelata dinnanzi a una ristretta manica di clienti affezionati. Gli astanti devono rispondere a un questionario in cui si valutano l'aspetto esteriore come quello interiore, la spaziosità e le varie finiture. L'auto, a dire il vero, sembra un concentrato di (scarsa) lamiera e poco altro. È proprio spartana, ma la Fiat la chiama "Rustica", e afferma un prezzo di listino di 2.800.000 lire. I motori derivano direttamente da quelli della 126 e 127.
Arriva la Fiat Panda, la scatola magica
Da quella serata un po' stonata, le cose prendono una direzione ancora peggiore. La Fiat deve fronteggiare una situazione spinosa: la nuova utilitaria deve essere prodotta nelle fabbriche del Nord o del Sud Italia? I sindacati spingono per il Meridione, tra Cassino e Termini Imerese, mentre gli operai preferiscono il Settentrione, con i siti di Desio e Torino. La controversia sindacale esplode, letteralmente, quando vengono incendiate venti Fiat Panda di pre-serie, nello stabilimento Autobianchi di Desio. Dopo questa escalation di violenza, tra il dicembre 1979 e il gennaio 1980 arriva l'accordo: la Panda verrà costruita tanto a Termini Imerese, quanto a Desio. Una scelta democristiana che appiana fortunatamente le divergenze. Dunque, con un po' di ritardo sulla tabella di marcia e, dopo aver affrontato delle aspre vicissitudini, la Panda può essere finalmente mostrata al grande pubblico nella sua forma completa. La Fiat sceglie di togliere il velo alla sua nuovissima utilitaria al cospetto del Capo dello Stato, Sandro Pertini, in una cerimonia nei giardini del Quirinale il 29 febbraio del 1980.
La Fiat opta per un nome scherzoso, giocoso e non una sigla numerica come imponeva la tradizione. In fondo, la Panda rappresenta uno stacco con la tradizione. Giugiaro ha praticamente animato una scatola magica, di quelle che se giri la leva comincia a intornare una melodia soave e delicata. Alla Panda manca soltanto la leva, ma è sufficiente girare la chiave per innescare l'incantesimo di seduzione. Non piacciono soltanto le linee semplici, squadrate ed essenziali, il lavoro svolto per gli interni conquista ancora di più: la strumentazione è gradevole e ci sono molti vani portaoggetti; insomma si punta dritto alla sostanza, con un occhio di riguardo per i giovani. A tal proposito, si rivela un grande punto di forza il letto di fortuna che si può costruire grazie all'abbattimento dei sedili anteriori a sdraio e dell'amaca posteriore. Giugiaro pensa anche al mondo agricolo, la Panda infatti può trasformarsi in un mulo da soma capace di trasportare 2 damigiane da 50 litri di vino nel bagagliaio a divano ripiegato. Inizialmente la Panda "30" riceve un motore bicilindrico da 652 cc raffreddato ad aria derivato dalla 126, mentre la Panda "45" il quattro cilindri 965 cc raffreddato ad acqua della 127. È l'alba di un successo inarrestabile.
Icona di lungo corso
La Panda si fa strada, tra sportellate e sgommate direttamente in faccia alle avversarie. Il contatore delle unità vendute cresce, si aggiorna con cifre su cifre. La Fiat ha vinto il jackpot, con un'unica fish in mano ha sbancato il casino. Per diventare prima un'icona e, poi, una leggenda ci pensa anche la versione 4x4, realizzata con gli specialisti della trazione integrale, gli austriaci di Steyr-Puch. L'utilitaria torinese con il differenziale posteriore si trasforma in un leggero fuoristrada, capace di arrampicarsi dovunque, tra pietraie, fango e neve. Basta alzare una leva ad auto ferma che, voilà, tutte e quattro le ruote iniziano a muoversi. Nel 1987 arriva la seconda serie, che sposta la targa dal portellone al paraurti posteriore, rinfresca la mascherina e si caratterizza per altri vari ritocchi.
Negli anni si susseguono serie su serie, allestimenti speciali, come quello di Italia '90 per inseguire un gol con gli Azzurri che si giocano il Mondiale tra le mura amiche. La Panda, nel frattempo, festeggia milioni di esemplari venduti, grazie anche ai motori Fire, più moderni, brillanti ed efficienti. La sua diffusione è inesorabile, un'epidemia che si espande a spron battuto fino al 2003, anno di congedo dopo quasi un quarto di secolo di fortune proletarie. La Panda originale, spartana, pratica e iconica si ferma a 4.491.000 unità. Un numero che fa riflettere.
Nessuno, però, avrebbe immaginato che quella scatoletta su quattro ruote avrebbe fatto così breccia nel cuore della gente, che per lei nutre un affetto speciale, riservato a poche altre macchine. Il "Pandino" è un pezzo d'Italia, fa parte della storia di questo Paese e, inevitabilmente del suo paesaggio. Come il Colosseo o come il Duomo di Milano. Dici Panda e dici Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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