Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, negli ultimi 30 anni la sua diffusione è aumentata in maniera esponenziale e attualmente interessa nel mondo circa 346 milioni di individui. Stiamo parlando del diabete, una patologia metabolica caratterizzata da iperglicemia, ossia un eccesso di glucosio nel sangue. Ne esistono di due tipi:
- Diabete di tipo 1: è una malattia autoimmune che insorge tipicamente nell'infanzia e in età adolescenziale. Gli autoanticorpi, distruggendo le cellule beta del pancreas, generano uno stato di totale o quasi assenza di insulina;
- Diabete di tipo 2: è la forma più comune. Tipica della stessa è l'insulino-resistenza, ovvero una ridotta azione dell'insulina con conseguente produzione eccessiva del glucosio da parte del fegato.
Se per la tipologia autoimmune le cause restano ancora sconosciute, lo stesso non si può dire per il diabete di tipo 2 o mellito che è provocato da una serie di fattori tra cui l'alimentazione ricca di grassi e di zuccheri, la sedentarietà, il sovrappeso e l'obesità. Secondo gli scienziati del Cedars-Sinai nella sua insorgenza è implicata anche la presenza o meno di specifici batteri del microbiota intestinale. Ne abbiamo parlato in questo articolo.
I sintomi del diabete
A differenza del diabete di tipo 1, la sintomatologia di quello mellito esordisce in maniera molto lenta e per questo può passare inosservata anche per parecchi anni. Ad ogni modo le manifestazioni sono comuni a entrambe le forme della malattia metabolica e includono:
- Polidipsia, ovvero intenso senso di sete;
- Poliuria, ovvero necessità di urinare spesso;
- Polifagia, cioè marcato appetito;
- Astenia;
- Prurito cutaneo;
- Tendenza a sviluppare infezioni;
- Cefalea;
- Lenta guarigione delle ferite;
- Visione offuscata.
Purtroppo non sono rare le complicazioni acute e a lungo termine. Tra le prime rientra il cosiddetto coma non chetosico, una condizione grave e spesso fatale. Le seconde, invece, consistono in alterazioni a carico dei grossi vasi sanguigni arteriosi e dei capillari. Ne derivano vari disturbi come le patologie cardiovascolari, la nefropatia diabetica, la cataratta e l'ulcera diabetica.
Il diabete e le malattie cardiovascolari
In Italia oltre 7 persone su 10 affette da diabete soffrono anche di patologie cardiovascolari e la metà non ne è consapevole. Questa è la fosca realtà fotografata dalla Fondazione Italiana per il Cuore che ha voluto proseguire il percorso internazionale di prevenzione di questa combinazione di malattie promosso dalla World Heart Federation (WHF).
«È un privilegio e un onore - ha affermato Emanuela Folco, presidente della Fondazione Italiana per il Cuore - che la nostra associazione rappresenti l'Italia all'interno del network globale di cui la WHF è leader e coordinatore. Collaboriamo attivamente affinché la salute del cuore diventi una priorità e per ridurre il carico globale delle malattie cardiache e dell'ictus. Questi disturbi insieme mietono ogni anno 18,6 milioni di vittime. In particolare la sindrome cardiometabolica nei soggetti con diabete è responsabile di un aumento dei decessi del 70% negli ultimi 10 anni».
La triste realtà italiana
Dai dati raccolti nella Scorecard sulle patologie cardiovascolari in Italia è emerso che sono circa 3,8 milioni i pazienti con diabete (di tipo 1 e 2). Di questi il 70% è in trattamento con farmaci antipertensivi e il 60,8% segue una cura per l'ipercolesterolemia. Inoltre, come sottolinea Paolo Di Bartolo, presidente Fondazione AMD (Associazione Medici Diabetologi), vi è una percentuale allarmante che oscilla tra il 60% e l'80% di individui diabetici che muoiono a causa di disturbi cardiovascolari.
Per la precisione il 20,9% dei soggetti ha un rischio cardiovascolare elevato. Il 15% ha già avuto infarto, ictus o complicanze vascolari agli arti inferiori. Al 40% delle persone, inoltre, viene anche diagnosticata una malattia renale. Afferma Massimo Volpe, presidente SIPREC (Società Italiana Per la Prevenzione Cardiovascolare) e professore presso l'Università La Sapienza di Roma: «Uno screening cardiovascolare accurato nel paziente diabetico, assieme a una stima complessiva del rischio cardiovascolare, costituisce un'azione di fondamentale importanza per poter mettere in atto le misure terapeutiche individuali più appropriate».
I fattori di rischio
La situazione italiana dal punto di vista della mortalità prematura sommata all'aspettativa di vita appare ancora confortante. La stessa tranquillità, tuttavia, non è applicabile ai principali fattori di rischio cardiovascolare modificabili: diabete mellito, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, fumo di sigaretta, sedentarietà. «Tutti noi dobbiamo impegnarci a fondo - concordano Paolo Magni, coordinatore comitato scientifico Fondazione Italiana per il Cuore e Roberto Volpe, Consiglio Nazionale delle Ricerche-CNR e SIPREC - per far sì che l'Italia continui a essere uno dei Paesi più longevi al mondo».
Secondo Angelo Avogaro, presidente SID (Società Italiana di Diabetologia) e professore presso l'Università di Padova, le recenti linee guida SID-ADM rappresentano un importante punto di svolta nella gestione del diabete e soprattutto della sindrome cardio-metabolica. Infatti sono stati individuati gli interventi farmacologici (e non solo) per affrontare in modo efficace questa problematica.
Però è doveroso sottolineare che esistono ancora due aspetti rilevanti che ostacolano il raggiungimento dei target prefissati. Da un lato la resistenza da parte dei medici ad utilizzare farmaci innovativi più efficaci e sicuri. Dall'altro la mancanza di aderenza da parte dei pazienti con patologie croniche. Infatti il 50% di essi interrompe o modifica la terapia senza confrontarsi con lo specialista.
L'importanza della diagnosi precoce
I pazienti diabetici hanno una probabilità più elevata di sviluppare l'aterosclerosi e la malattia coronarica. La diagnosi precoce di quest'ultima è fondamentale per la prevenzione e la gestione delle complicanze cardiovascolari. Daniele Andreini, direttore UO di Cardiologia Clinica, Imaging e di Cardiologia dello Sport presso l'IRCCS Ospedale Galeazzi Sant'Ambrogio, conclude:
«L'imaging non invasivo, come la tomografia computerizzata coronarica o la risonanza magnetica cardiaca, può fornire informazioni dettagliate sulla presenza, sulla gravità e sulla localizzazione della patologia coronarica senza
ricorrere alle procedure invasive come l'angiografia coronarica. L'imaging può essere altresì utile per valutare il rischio di eventi cardiovascolari futuri e per monitorare l'efficacia del trattamento nel tempo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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