Berlusconi: "Accetto il risultato" Ma la sinistra: "Devi dimetterti"

L'affluenza intorno al 57%: raggiunto il quorum per tutti e quattro i referendum. Col "no" al nucleare resta però il nodo sulle scorie, mentre nella gestione dell'acqua ora sono a rischio le infrastrutture e gli investimenti. Il premier accetta il risultato: "Dovremo dire addio al nucleare" (guarda il video). Verdi e dipietristi festeggiano in piazza: guarda la gallery - il video. La sinistra tenta la spallata: "Berlusconi passi la mano al Colle". Ma Maroni assicura: "Verifica? Questa maggioranza è la metà più uno". E La Russa: "Risultato prevedibile"

Berlusconi: "Accetto il risultato" Ma la sinistra: "Devi dimetterti"

Roma - "Un referendum sul berlusconismo". Raggiunto il quorum su tutti e quattro i quesiti del referendum, l'opposizione va subito all'attacco e chiede le dimissioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Dai finiani al piddì Walter Veltroni, fino a Nichi Vendola: l'opposizione parla all'unisono. Al termine dello spoglio l'affluenza si consolida intorno al 57%: via libera ai quesiti su ritorno al nucleare, gestione e tariffe dell’acqua, legittimo impedimento a partecipare ai processi. Ma il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, chiosa: "La sinistra si vuole appropriare anche del risultato referendario. Ma il governo va avanti perchè a esso non c’è una alternativa".

Berlusconi spegne le polemiche Mentre a sinistra si cerca distrumentalizzare il voto del referendum, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ribadisce che il risultato non è un test sul governo ma l'occasione per verificare la volontà dei cittadini. "L’Italia probabilmente a seguito di una decisione che il popolo italiano sta prendendo in queste ore - spiega il Cavaliere - dovrà dire addio alla questione delle centrali nucleari e quindi dovremo impegnarci fortemente sul settore delle energie rinnovabili". Per Berlusconi, l’alta affluenza nei referendum dimostra "una volontà di partecipazione dei cittadini alle decisioni sul nostro futuro" che "non può essere ignorata" dal governo. "Anche a quanti ritengono che il referendum non sia lo strumento pià idoneo per affrontare questioni complesse, appare chiaro che la volontà degli italiani è netta su tutti i temi della consultazione", ha concluso Berlusconi spiegando che "il governo e il Parlamento hanno ora il dovere di accogliere pienamente il responso dei quattro referendum".

La sinistra tenta già la spallata La sinistra già prova la spallata. Durante la campagna elettorale Pd e Idv avevano caricato il risultato del referendum di un significato politico: "Se dovesse passare, il governo dovrà dimettersi". Ma il governo respinge l'assalto. "La maggioranza è la metà più uno, come per il referendum", ribatte prontamente Maroni spiegando che, "contrariamente a quello che diceva Andreotti, per un governo della seconda repubblica tirare a campare vuol dire tirare le cuoia, e di questo mi pare siano consapevoli tutti". Il titolare del Viminale ha, infatti, voluto lanciare uno stimolo: "Sono certo che verrà ripreso, perchè è interesse di tutti. Non c’è nessuno in questo governo e in questa maggioranza che vuole tirare a campare". Maroni ha concluso che "bisogna trovare soluzione rapide e convincenti, non solo per noi ma anche per il nostro elettorato".

Il coro della sinistra: "Cav dimettiti" Ma l'opposizione salta subito sul carro dei vincitori e trasforma il risultato in un vero e proprio test contro il Cavaliere. Non usa mezzi termini il governatore della Puglia, Nichi Vendola, che annuncia la fine del berlusconismo. Ancora più chiaro il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, che invita il premier a presentare le dimissioni e a presentarsi al Quirinale. Molto duro anche il Terzo Polo che prova addirittura ad arrogarsi "il merito di avere sostenuto il voto". Addirittura il falco finiano Italo Bocchino invita Berlusconi a fa cadere il governo. Ma La Russa frena e parla di "risultato prevedibile". "La sinistra si vuole appropriare anche del risultato referendario - spiega il ministro della Difesa - ma il governo va avanti perché a esso non c’è una alternativa". Secondo La Russa, il Partito democratico farà "molta fatica a convincere gli italiani" di rappresentare "un’alternativa".

Le prossime mosse del governo Sulla stessa linea di La Russa anche il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che ha ricordato che "il Pdl ha chiarito già da tempo di non considerare quella dei referendum una scadenza politica sulla quale impegnarsi come partito e tantomeno come maggioranza di governo". Per il coordinatore unico del Pdl, il governo oggi ha due doveri: "Da un lato prendere atto del risultato dei referendum sui vari quesiti e dall’altro lato predisporre un quadro preciso di scelte politiche e programmatiche sui vari temi che più riguardano gli interessi dei cittadini e il futuro della società italiana".

NUCLEARE: resta il nodo scorie La consultazione si è celebrata su un quesito diverso da quello originario reso inattuale dall’abrogazione delle norme sul rientro nella produzione di energia dall’atomo intervenuta con il decreto omnibus: il quesito è infatti stato rinnovato dalla Corte di Cassazione. Con il nucleare ormai praticamente tramontato come ipotesi a stretto giro, resta il nodo della gestione delle scorie prodotte in passato nella breve esperienza atomica del nostro paese. La soppressione del titolo sulla localizzazione, la costruzione e all’esercizio di impianti nucleari, comporta l’abrogazione anche degli articoli relativi al Fondo per il decommissioning. Archiviato anche il capito deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, resta da comprendere quali siano i compiti residui in capo all’Agenzia di sicurezza nucleare, costituita formalmente qualche settimana fa.

ACQUA: investimenti a rischio I due quesiti sull’acqua riguardano l’abrogazione di due norme fondamentali della disciplina di tutti i servizi pubblici locali a rilevanza economica. La riforma Ronchi avrebbe regolato gli affidamenti delle gestioni nei settori di acqua, trasporti e rifiuti lasciando fuori gas, elettricità, farmacie e trasporto ferroviario. Da un punto di vista economico la partita ha però tutt’altro spessore: da 17 anni, cioè dall’approvazione della legge Galli sul ciclo integrato della gestione idrica, manca di fatto un politica di settore in Italia.

E con la vittoria dei "sì" torna la questione di come finanziare i 64 miliardi di euro programmati in trent'anni, circa 2,2 miliardi l’anno, necessari per ammodernare il comparto (acquedotti, depurazione, fognature). Le norme, nel dettaglio, stabiliscono che l’acqua rimane "pubblica" cioè un bene demaniale dello Stato, così come la tariffa determinata con un procedimento amministrativo eliminando qualsiasi intervento del gestore.

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