Mario Nanni torna alla Galleria d'Arte Maggiore di Bologna con una selezione significativa di lavori inediti. Opere che aggiungono un capitolo fondamentale alla sua importante riflessione sul tema delle «mappe» e che coinvolgono direttamente lo spettatore in un nuovo dialogo tra opera e pubblico.
Una ricerca nata negli anni Settanta con il noto ciclo delle «Geografie dell'attenzione» e ripresa nei primi anni del XXI secolo con i famosi «Giochi della metamorfosi». Le mappe, oggi riproposte in grandi dimensioni e su opere che richiedono l'intervento attivo del pubblico, si presentano quindi come un ideale filo conduttore che ripercorre alcuni snodi significativi del lungo e articolato percorso artistico del maestro convinto che «le opere debbano, o dovrebbero almeno, rappresentare il loro tempo storico». Per Nanni, la mappa è un mezzo con cui indagare lo spazio, attraverso un uso straniante che fa perdere ai segni topografici i connotati di cui sono portatori nella quotidianità. La topografia «in quanto tale, è perduta, ma come base figurativa può dar luogo ad una serie di programmi di esplorazione compositiva, percettiva, cromatica, geometrica. Insomma diventa la matrice di quel che si definisce «ricerca creativa», «esercizio di stile» come scrive Omar Calabrese. Una ricerca artistica che se dal punto di vista materico porta Nanni ad affogare i riferimenti topografici nel colore, espanso in movimenti fluidi e vorticosi, impetuosi e decisi anche nelle tinte che vanno dal rosso accesso al nero.
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