Spread inferiore che con Draghi. Ma il mercato teme il downgrade

A quota 194 contro 236 di luglio 2022. Moody’s minaccia un taglio

Spread inferiore che con Draghi. Ma il mercato teme il downgrade
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Sui mercati ma soprattutto sulla stampa specializzata (e non) si sta dando negli ultimi giorni molto evidenza - anche troppa - al rialzo dello spread tra Btp e Bund. Ieri il differenziale di rendimento tra il decennale tedesco e quello italiano si è attestato a 194 punti base con il nostro titolo di Stato di riferimento che rende il 4,77 per cento. Effettivamente, è dall’inizio del mese di settembre che si è superata quota 170.

Ma ci si può fermare a un’analisi confinata agli ultimi trenta giorni? Certamente, no. Se si torna indietro di poco più di un anno, infatti, si nota che poco prima della fine del governo Draghi, tra giugno e luglio del 2022, lo spread Btp-Bund si era attestato oltre i 200 punti toccando un massimo a 246 il 13 giugno e fissandosi a 237 punti il 21 luglio, giorno in cui l’esecutivo guidato dall’ex numero uno della Bce terminò la sua corsa politica. Certo, non si può imputare a Draghi nessuna responsabilità particolare vista la sua attenzione alla tenuta dei conti e la sua innata fiducia nei meccanismi europei, riconosciutagli anche dalla presidente von der Leyen che lo ha voluto accanto a sé in quest’ultimo tratto della legislatura comunitaria.

In quel periodo lo spread era più alto di oggi per una concatenazione di fattori: il prezzo elevato del gas a causa della guerra in Ucraina, l’attesa per un progressivo rialzo dei tassi da parte della Bce (concretizzatosi per la prima volta proprio in quel fatidico 21 luglio) e, infine, i dubbi sulla tenuta di un debito pubblico italiano che ai tempi, prima delle recenti revisioni, veleggiava attorno al 150% del Pil in un contesto nel quale sembrava più probabile una recessione che una crescita economica. E la stessa situazione Giorgia Meloni si trovò dinanzi sabato 22 ottobre 2022, giorno del suo insediamento a Palazzo Chigi. Il giorno prima il valore dello spread era intorno ai 236 punti base, una cifra progressivamente abbassata fino a quota 160 nello scorso giugno.

C’è un merito politico in questo trend? La risposta non può che essere affermativa giacché l’impostazione prudente della legge di Bilancio 2023 ha convinto i mercati e anche gli addetti ai lavori, circostanza confermata dalle annotazioni positive del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Insomma, il succo del discorso è che se si governa bene l’economia, si possono «tamponare» gli effetti negativi di un contesto sfavorevole o prendere abbrivio da una fase espansiva (sempre Draghi nel 2021 era riuscito a tenere il differenziale sotto quota 100). Ma questa è una condizione non sufficiente a garantire un’evoluzione ordinata di quel tipo di parametro. Ad esempio, in questi giorni gli operatori sono particolarmente preoccupati da una possibile bocciatura di Moody’s all’atto della revisione del rating il prossimo 17 novembre. Un taglio del giudizio «Baa3» implicherebbe un declassamento a «spazzatura» aumentando ulteriormente il costo del debito, già salito di circa 15 miliardi a causa dei rialzi dei tassi.

Proprio per questo motivo la manovra dovrà essere ulteriormente prudente e mostrare che, anche in un contesto difficile, il debito/Pil è instradato su un progressivo sentiero di riduzione anche in virtù della crescita economica.

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