Canalini, l'editore tuttofare che inventò una generazione

Giulio Milani racconta l'avventura del fondatore di Transeuropa: un "punk delle lettere", irregolare e geniale, che aveva una visione

Canalini, l'editore tuttofare che inventò una generazione

C'erano una volta i movimenti letterari. Adesso non ci sono più. Sarà colpa di Internet, dei social, della temperie culturale, della disaffezione dell'editoria verso il nuovo, del covid, del diavolo sa cosa. Non esistono più luoghi fisici dove gli scrittori e gli aspiranti tali si incontrino per scambiarsi idee, opinioni, letture, tantomeno luoghi virtuali, eccettuato forse qualche blog, che facciano da crocevia a un qualsivoglia sistema di riflessione sulla ricerca letteraria.

E sembrano lontanissimi quegli anni Novanta che videro nascere correnti di cui ancora oggi si sentono gli effetti, per quanto sempre più flebili. Fra queste un movimento ispirato dallo scrittore Pier Vittorio Tondelli, morto nel 1991, tenacemente sostenuto da Massimo Canalini, editor anconetano, fondatore della casa editrice Transeuropa e alfiere visionario di una scrittura che riflettesse il mondo visto e de-scritto da una nuova generazione, quella di chi allora aveva meno di 25 anni. Dopo la morte di Canalini, nel settembre scorso, tutta quella storia è raccontata senza nostalgia e senza retorica da un testimone oculare, Giulio Milani, a fianco di Canalini per molti anni e ora portatore del testimone di quella ormai storica casa editrice, nel volume Codice Canalini. Ingrate patrie lettere! (Transeuropa, pagg. 300, euro 25).

Canalini, alto, taglio di capelli improbabile, voce adenoidale, era una presenza lunare nel contesto stantio dei salotti letterari degli anni Ottanta e primi Novanta. O meglio, non ci stava proprio in quei salotti, preferendo una posizione eccentrica, la provincia appunto, Ancona, e poi Bologna, dove operò come agitatore culturale, ma soprattutto come talent scout. È l'incontro con Tondelli a cambiargli la vita. Da quel momento il giovane editore/editor capisce che sono gli scrittori giovani quelli che hanno più cose da dire. Basta con le Bellonci, le Maraini, i Moravia, per lui I narratori si dividono in quelli che offrono molto fumo e quelli che ti danno l'arrosto, e questi ultimi sono spesso gli esordienti. Insieme a Tondelli dà dunque vita a una raccolta di manoscritti fra cui selezionare i partecipanti a una collana di racconti «Under 25». Le antologie alla fine saranno tre (la prima pubblicata sotto la sigla Il lavoro editoriale, fondata nel 1979 con Giorgio Mangani e Ennio Montanari); vengono inclusi racconti di scrittori che, tra alti e bassi, troviamo in libreria ancora oggi, come Andrea Canobbio, Silvia Ballestra, Romolo Bugaro, Andrea Demarchi, Guido Conti, Giuseppe Culicchia, Gabriele Romagnoli e altri un po' più defilati, come l'ottima Raffaella Krismer Venarucci. Quell'onda era stata anticipata, un decennio prima, da Andrea De Carlo, che aveva fatto in parte sua la lezione dei minimalisti americani: Bret Easton Ellis, Jay McInerney e soprattutto Raymond Carver. Ma Canalini ci mette del suo, e molto. In pratica, come si desume chiaramente dalle memorie di Milani, fonda una setta. Il suo «codice» è infrangibile. Letture ad alta voce, uso di una lingua parlata, scambio costante di informazioni, presenza fisica ad Ancona. Per quella città gli aspiranti autori partivano da tutta Italia.

E qui la narrazione si muove in un'aneddotica che sfuma nella mitologia. Questo geniale e bizzarro personaggio deportava quei poveretti da un bar all'altro, da un locale a un ristorante, bevendo, fumando, cazzeggiando fino alle ore antelucane, e poi all'improvviso impadronendosi dei loro testi e riscrivendoli, spesso dettandoli agli autori stessi. Mica una parola qua e là, o una frase ritoccata: interi paragrafi, intere pagine, forse anche interi capitoli. D'altronde il lavoro di un editor dovrebbe essere quello: operare gomito a gomito con lo scrittore, ottenere la sua fiducia, guidarlo nelle scelte stilistiche. Cosa che i redattori di adesso non fanno più, tanto meno nelle grandi case editrici, dove i libri si confezionano in una pura logica di mercato, tutti simili, tutti omologati e uniformi nelle trame, nel linguaggio e, ahimè, nei pregiudizi. Una censura, diventata ormai tristemente autocensura, impone agli scrittori il bavaglio, l'ossequio a un ventaglio di idee e opinioni stereotipate, la copiatura pedissequa di compitini prestampati. E invece nel 1994 il pubblico scopre con entusiasmo l'autenticità di romanzi come Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi.

La casa editrice Transeuropa diventa un'incubatrice di talenti, una vetrina nazionale. Gli aspiranti accorrono al cospetto del demiurgo inflessibile. Il libro di Milani raccoglie le testimonianze di chi c'era: Piersandro Pallavicini, Davide Bregola, Romolo Bugaro. E quest'ultimo di recente, in una nota alla riedizione del suo esordio La buona e brava gente della nazione, mette nero su bianco quello che molti giovanotti di allora non hanno mai osato confessare: Canalini riscriveva intere parti di sana pianta. Alcuni non lo accettavano e semplicemente se ne andavano. Altri, pur di pubblicare, mandavano giù il rospo. A volte se ne sono lamentati, senza rendersi conto che quel lavoro di lima e di cesello sui loro testi grezzi in fondo non era dovuto. Trovarne, oggi, di professionisti che, oltretutto rischiando in proprio, dedichino tanta attenzione a un autore sconosciuto. Che gli offrano un'occasione. Oltretutto, gli autori che assaggiavano il successo subito se ne andavano, risucchiati dalle lusinghe dell'editoria ricca e potente.

L'epopea di Canalini e dei suoi sgangherati collaboratori si consumava nei territori underground, in stanzette fumose e disordinate dove, come un pazzo, lui stesso colorava a mano le copertine di libri tirati in poche centinaia di copie e distribuiti avventurosamente. In compenso aveva rifiutato le lusinghe di editori altolocati. Collaborazioni sì, ma mai al loro servizio. Una lezione per i nostri intellettuali poltronari, sempre a sbafare alla mensa altrui, e a lamentarsi.

Infine, chiuso questo capitolo, dal 2003 il Nostro si dedica per un paio d'anni a una ricerca al limite dell'assurdo.

A partire da alcune lettere d'amore di Pier Vittorio Tondelli alla compagna di scuola Federica Gazzotti, elabora l'affascinante teoria per cui lo scrittore di Correggio non sarebbe stato omosessuale, ma ne avrebbe giocato la parte pur di immolarsi, come capro espiatorio, a favore di una causa più alta. Una tesi inquietante, rifiutata da tutti, cristallizzata nel libro Federica in Cina, stampato in sole 200 pagine, decorato a mano, oggi quasi introvabile, inafferrabile come un sogno.

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