Di solito il film è meno bello del libro. Nel caso de Il postino forse è più bello il film. Lo abbiamo visto in tanti, nel 1994, e tutti ci ricordiamo che Troisi era morto il giorno dopo la fine delle riprese. Ci ricordiamo anche che Philippe Noiret faceva la parte di Pablo Neruda e Maria Grazia Cucinotta quella di Beatrice. Al suo debutto, era stata scelta in quanto prosperosa «bellezza mediterranea» (le altre candidate erano Monica Bellucci e Manuela Arcuri).
Ne parliamo perché l'autore del libro, il cileno Antonio Skármeta, classe 1940, ieri è morto, e tutti se lo ricordano per Il postino di Neruda, un libro che, se non fosse stato per il film, forse non avrebbe avuto il successo quasi planetario che ha avuto. Oltretutto, il titolo originario era un altro, Ardiente paciencia, molto meno memorabile. Comunque, anche il libro, se l'avete letto, non è male. Uscì nel 1986, In Italia lo ha pubblicato Garzanti nel 1989 e poi Einaudi nel 2007. La traduzione è di Andrea Donati.
Il postino protagonista del film, divenuto poeta in un paese di analfabeti grazie al magistero di Pablo Neruda, impara che cosa vuol dire «metafora». Senonché si potrebbe anche dire che la metafora è lui. Metafora della condizione di un popolo tenuto nell'ignoranza e sballottato fra i tentativi di riforma socialista del già comunista Salvador Allende e la dittatura di Augusto Pinochet, autore del golpe del 1973. Agli intellettuali utopisti piace pensare che con la poesia si possano raddrizzare le storture del mondo. Magari. Molti di loro se ne andarono e basta, avendo capito per tempo che nella lotta attiva non sarebbe loro restato altro che soccombere. Esempi: Luis Sepúlveda e Roberto Bolaño, seppure in tempi diversi. E lo stesso Skármeta, che si rifugiò in Argentina e poi in Germania Ovest, ritornò nel suo Paese d'origine solo nel 1989, venendo nominato circa un decennio dopo ambasciatore in Germania. Il suo esordio, nel 1975, era stato Sognai la neve bruciare, atto di denuncia della violenza del colpo di stato e della guerra civile di due anni prima. Dei romanzi che sono seguiti al Postino ricordiamo almeno Match Ball, del 1989. Le sue numerose opere in Italia sono uscite per Garzanti e successivamente per Einaudi.
I primi passi di Skármeta nella narrativa letteraria si erano mossi in un'atmosfera critica controversa. I suoi racconti parlavano di ragazzi di città, alle prese con le famiglie d'origine, e delle loro educazioni sentimentali e sessuali intrecciate a una consapevolezza dei cambiamenti sociopolitici del loro Paese. Questo non piaceva agli esponenti della cultura conservatrice, fortemente cattolici.
La componente autobiografica era spiccata, ma lo scrittore sapeva come tradurla in fiction. Quello che gli premeva era raccontare la quotidianità e in questo si è distinto dal gruppo di autori sudamericani che il critico Donald Shaw ha definito del «Boom», quelli che grosso modo si riconducono al realismo magico, come Julio Cortazár, Carlos Fuentes, Gabriel García Marquez e Mario Vargas Llosa. Nella narrativa ispano-americana della fine dei Sessanta prevale invece un gruppo «Post-Boom» che ha l'intento di coltivare un maggiore senso della realtà di tutti i giorni attraverso gli strumenti della finzione storica, ma anche della memorialistica.
Un aspetto meno noto e meno dibattuto nell'opera di Skármeta risiede nella rielaborazione delle sue radici europee.
La sua famiglia proveniva infatti dalla Dalmazia (Vranici è il nome di un ramo d'origine) ed è possibile che il suo esilio in Europa e poi il rientro in patria lo abbiano portato a riflettere sul senso che assunse l'immigrazione nell'elaborazione dell'identità nazionale cilena. Anche perché alla base delle ricostruzioni storiche che portano all'invenzione nazionale ci sono sempre figure riccamente ammantate di letteratura.
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